Ufficio Visti
Una mostra al Mudec di Milano
Le mostre su Piet Mondrian si sono tante volte focalizzate sul suo legame con la teosofia o sulla purezza spirituale della sua astrazione coloristica e geometrica. Quella in corso al Mudec di Milano, Mondrian dalla figurazione all’astrazione, sceglie un percorso diverso e meno indagato, quello della sua prima produzione artistica, con il duplice obiettivo di illustrarne il legame con la tradizione naturalista olandese e di provare a suggerire secondo quale linea di continuità, e non solo di rottura, l’artista pervenne alle sue note serie di linee rette colorate dentro le griglie.
Credo sia in effetti inedito l’esperimento di accostare alle tele giovanili di Mondrian i quadri dell’ottocentesca scuola dell’Aia, che lavorando en plen air rappresentavano i paesaggi olandesi in modo non troppo dissimile da come prese a fare Mondrian. In quello stesso periodo, però, Mondrian esplorava soluzioni simboliste: uno dei quadri più sorprendenti (anche avendo a disposizione cento tentativi per indovinare sarebbe difficile attribuirlo a Mondrian), belli e intensi della mostra è Devozione, ritratto cromaticamente esplosivo di una fanciulla incantata dinanzi a un fiore, caduto nel 1908 sotto la scure di critiche feroci che suscitarono profondo scoramento dell’artista e probabilmente lo incoraggiarono a intraprendere strade diverse. La scuola dell’Aia conservava ancora una certa attenzione per l’elemento umano, e Mondrian si discostò tale propensione concentrandosi sulle mucche (un quadro in particolare ricorda la copertina di Atom Heart Mother) e gli alberi: si lascia intendere che in quella vocazione naturalista trovò le radici della spiritualità che lo avrebbe progressivamente condotto alla sua ricostruzione neoplastica dell’universo. In realtà, Mondrian fu ancor più attratto da soggetti come i mulini, i fienili o i fari, purgati dalla presenza dell’uomo, sperimentati dapprima in chiave realista e poi quasi cubista. Fu questa la chiave per accostarsi all’astrattismo. Nei primi anni del Novecento, così tanto sensibili all’emergere della questione operaia o alla potenza futurista delle macchine, Mondrian dipinse la fabbrica senza alcun sottinteso sociale né filo-industriale e nemmeno interesse per il contesto urbano, collocandola nel quadro come se fosse un tronco o un fiordo, interessato solamente alla forma e al colore.
Per quanto egli dichiarasse, nel 1942, che il suo intento continuativo e unitario era stato il realismo, la sua matematizzazione della natura, che del resto si proponeva di espungere il dolore e il particolare, non aveva nulla da dire sull’uomo, se non denunciare la sua incompatibilità con la vera spiritualità, per come la sentiva vibrare lui, e relegarlo al ruolo pur sempre privilegiato di osservatore e silenzioso partecipe dell’armonia. Così poco penitenziale fuori dall’atelier, abitò il mondo come ballerino di charleston, amante insaziabile, cultore del jazz o insaziabile forchetta, Mondrian purificò la sua arte dalla vita della carne. Salvo, negli ultimi anni, evocarla di nuovo nel quadro sul boogie-woogie, che tollerava infine, se non lo scompaginamento, la vibrazione ritmica di quella pacificazione lineare e bidimensionale.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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