Ti sei ricordato di prendere gli ombrelli?. Possiamo fantasticare che durante l’allestimento delle grandi mostre impressioniste chi lavorava alle pareti così si riferisse alla tela di Gustave Caillebotte, Rue de Paris, temps de pluie, a lungo l’unico conosciuto e celebrato, come se solo in quella giornata di pioggia l’artista avesse trovato la sua ispirazione. Fino a una trentina di anni fa Caillebotte veniva ricordato come un mecenate e un collezionista, che oltre a supportare finanziariamente gli impressionisti si era dilettato a sua volta con i pennelli. La lenta sottrazione all’oblio giunge a compimento con l’esposizione al Musée d’Orsay, Caillebotte. Peindre les hommes, progressivamente montata nei numeri dei visitatori e ormai con un numero di accesso quotidiano in grado di competere con i suoi immortali compagni di cordata.
Per dargli una spinta ulteriore la chiave prescelta è quella di affiggergli un’etichetta gender, sia pretendendo che al pittore si debba una rappresentazione nuova della mascolinità rispetto a quella militare, sia sottintendendo (e nemmeno troppo) un’omosessualità mai provata. Chi vede questa mostra potrà pensare che dipingesse solo uomini. In realtà ritraeva anche parecchio altro, ad esempio fiori nella parte conclusiva della sua breve vita (morì a 45 anni), ma il taglio mainstream prescelto ha precluso una vera retrospettiva. Nell’insieme la traccia pare tirata per i capelli. L’aspetto più interessante e moderno è piuttosto l’attenzione al profilo interiore dei soggetti o all’atmosfera che creano. Le tele di Caillebotte non hanno come soggetto la luce, per quanto questa sia elaborata alla maniera impressionistica: il tema sono certe figure-tipo colte in una postura fisica che ne sintetizza la posizione nel mondo (non uso l’espressione posizione sociale, che implicherebbe un interesse di tipo classista, a mio parere totalmente assente dalle opere): i piallatori di parquet allungati sopra il pavimento, l’artista pensosamente affacciato sul ponte, i borghesi stretti nei loro cappotti (nutriva per questo capo un’attenzione quasi sartoriale), gli scapoli che giocano a carte nei loro circoli, i canottieri solitari che scivolano sull’acqua – questi ultimi sono i suoi modelli paradigmatici, l’equivalente delle ballerine di Degas, e anche le tele nelle quali la declinazione multipla delle palette cromatiche raggiunge i risultati più coinvolgenti.
Caillebotte anticipa la fotografia con le immagini dell’alto delle piazze in cui si muovono passeggeri rimpiccioliti. Questo leitmotiv (in uno con gli eleganti signori ritratti sui loro balconi) fa riflettere su come l’ascensore abbia rovesciato la gerarchia dei piani, rendendo la proprietà di quelli alti un segno di distinzione sociale. È in effetti una costante che la prospettiva del quadro includa un soggetto guardante-narrante. L’esempio più plastico è un pranzo di famiglia, nel quale uno dei fratelli e la madre – oltre a una servitrice – sono ripresi in mezzo a scintillanti cristalli e argenterie, mentre sul margine in basso del quadro si scorge parte del coperto di un altro commensale, il pittore stesso, che anche in questo caso ha agito come fosse un fotografo. Per graduare la distanza, anche di umore, che separa Caillebotte dalla sua cerchia artistica basta confrontare questo solenne, greve e silenzioso déjeuner con i déjeuner che Monet collocò in afrodisiaci giardini e Renoir fra le chiacchiere vezzose delle signorine e le ostentazioni muscolose dei canottieri.
Caillebotte. Peindre les hommes.
Musée d’Orsay, Parigi
Fino al 17 gennaio
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