Leggendo i resoconti sull’Hotel Rigopiano si allunga ogni giorno la catena di errori commessi. Quanto più aumentano i responsabili- si suggerisce- tanto più si dimostra che le morti erano evitabili. Il buon senso, è ovvio, suggerisce il contrario: se davvero sono stati commessi quattordici errori era quasi impossibile impedire le morti,diversamente che se ne fossero stati commessi solo due, e ancor più ineluttabile apparirà quel destino se i responsabili risulteranno mille.Non è solo un elementare dato statistico: quando i difetti si moltiplicano bisogna prendere atto che essi costituivano l’ossatura di un sistema. Questo è vero in un’infinità di campi, e la vita degli uomini consiste in quell’eterna fatica di Sisifo di creazione e distruzione di sistemi, a volte rendendoli più forti e altre più vulnerabili. I sistemi si compongono di elementi naturali ed apporti umani. Tra questi ultimi rientrano anche l’inedia, la stupidità o la corruzione. Ma se sono tanto efficaci, di solito, dipende dal sistema. Questo non significa che non si debbano cercare responsabilità. Personalmente ritengo la colpa un fondamento essenziale di tutte le società (che poi tra loro differiscono nel modo di affrontarla). Ma c’è qualcosa di infantile nella crescente convinzione che per ogni morte esistesse un antidoto, come qualcosa di sgradevole nella loro immediata commisurazione pecuniaria. C’è un momento, almeno uno, in cui la morte è solo la morte. E in cui, mentre ancora scavano le vanghe nella neve, è moralmente preferibile che la comunità (con la mente, l’orecchio, l’emozione) rimanga tesa per cogliere il respiro sommerso del sopravvissuto piuttosto che l’urlo dell’indignato.
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