Per capire quanto profondamente sia malata la nostra politica basta soffermarsi un secondo sul maxiemendamento del decreto milleproroghe. Non leggerlo, intendo: solo considerarlo linguisticamente. D’accordo, è un gergo giornalistico, ma non ha alcuna pretesa di denuncia, è condiviso dal ceto politico, ed è purtroppo una corretta raffigurazione della realtà.In teoria, una legge ben pensata dura il tempo che si era ipotizzato dovesse durare, oppure viene introdotta stabilmente e abrogata quando non serve più. E, sempre in teoria, quando un governo vara un decreto legge dovrebbe avere sondato se i contenuti saranno accettati dal Parlamento al momento della conversione. Un margine di errore nell’una e altra valutazione ci sta. La politica è anche sperimentare sul campo. Ma “milleproroghe” e “maxiemendamento” restituiscono tutta la superficialità, la bulimia, l’istituzionalizzazione dell’instabilità e dell’incertezza, la perennità dell’emergenza, il groviglio inestricabile degli interessi contrapposti, il gigantismo impotente della burocrazia, la balbuzie della progettualità. E così la politica è da tempo magazzino vuoto, a parte le taglie oversize.
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