Recensione
“Non fate i cretini!” è un’esortazione esasperata rivolta a persone prossime ma che calzerebbe bene per tutti quei comici che mettono al centro del repertorio la rappresentazione (fittizia) della propria stupidità. Quasi sempre ne vengono fuori gag consunte e prevedibili, come se, specie in Italia, la possibilità di ricorrere a questo canone storico della comicità avesse esaurito la capacità propulsiva. Una felice eccezione sono Maccio Capatonda(nome d’arte di Marcello Macchia) e il suo fedele partner in scena Herbert Ballerina: loro sanno veramente fare i cretini, grazie a una miscela esplosiva di geniali storpiature linguistiche, dialettismo alterato, ragionamenti incrinati da una coerenza demenziale, deficit cognitivi causati da un’ignoranza piramidale, iperboli dadaiste. Una fenomenologia verbale dell’assurdo che troverebbe magnificamente casa a teatro. Invece la carriera dell’attore-autore Capatonda, partita da You Tube, è poi proseguita in tv, e quindi al cinema. Maccio conserva sul grande schermo l’ossatura e anche il nome di maschere già precedentemente sperimentate ma chi lo segue apprezza come non si appoggi mai sulla pigra ripetizione, rinnovando e rivitalizzando ciascuna delle sue caricature.
Queste grandissime qualità, che costringono a ridere da soli due ore dopo il film ripensando a qualche battuta, cannibalizza però lo sviluppo della sceneggiatura e il respiro puramente cinematografico (con un modo di girare ancora troppo impregnato della formazione youtuberina), nonostante l’idea di partenza sia a sua volta assai divertente. Nella sconosciuta Acitrullo, classico paesino sul cocuzzolo reso sfigato dal calo demografico e dall’emigrazione (di solito verso la “metropoli” Campobasso) sino a ridursi a sedici abitanti, una contessa muore soffocata e il sindaco Piero Peluria (Capatonda) decide con suo fratello di inscenare un macabro delitto. Perché? La sua intuizione è che si tratta dell’unica opportunità per invertire il declino del paese, inserendolo nel circuito televisivo, e a seguire turistico, di quei piccoli centri, come Cogne o Novi Ligure, che diventano un’attrazione grazie alla consumazione di un delitto efferato. E in effetti ad Acitrullo piomba, con il suo cast, la terribile conduttrice della trasmissione “Chi L’acciso”, Donatella Spruzzone (un misto tra la criminologa Bruzzone e la presentatrice Barbara D’Urso, interpretata da Sabrina Ferilli) che immediatamente surroga il commissario di polizia nelle indagini, incontrando solo l’ostinata e idealistica resistenza di una giovane ispettrice. Il piano del sindaco pare avverarsi, anche oltre i suoi propositi: la quieta Acitrullo diventa una discarica del turismo trash, con magliette che hanno inciso “Je suis Acitrullo” o cinesi che lamentano in vernacolo milanese la mancanza di “figa” nel paese. Le esagerazioni farsesche nel luogo del delitto paiono più riuscite di quelle sulla tv dell’orrore, indebolite da un certo didascalismo e dalla figura, tetragona e sin troppo carica, della Sbruzzone, cui non giova l’immedesimazione militare della Ferilli. Pur a disposizione, l’occasione mancata del film è proprio il racconto di un pezzo d’Italia, ancorchè in forma grottesca. Meglio tracciata è una più generale antropologia umana, che prima attraverso la tv e poi con l’ossessione digitale (l’arrivo del wi-fi era la massima aspirazione di Acitrullo, prima del delitto) ha creato un homo scepticus, passivamente fiducioso verso ciò che gli presenta lo schermo ma incredulo verso ciò che ha davanti a sè, sino al punto da teorizzare che “la realtà non è aggiornata” e andare quasi a fulminarsi contro un recinto elettrificato perché il navigatore satellitare indica di proseguire diritto. La trama conosce una sua piccola virata nel finale, in parte autonoma e surreale come in certi film di Totò, in parte funzionale per descrivere un’altra deformazione del turismo italiano, legata alla ricerca della tipicità artigianale: e in parte per dare spazio quale “Deus ex machina” al santo patrono del paese, quell’altro capolavoro linguistico che è San Ceppato (corrispondente dialettale di “si è inceppato” che ben calza a un paese dove niente funziona).
Insomma, manca ancora qualcosa alla piena metabolizzazione del grande schermo da parte di Capatonda, ma l’attore c’è (interpreta anche qualche altra macchietta, alla maniera del primo Verdone), e l’intelligenza pure. Per il momento contentiamoci, e ne avanza, di un umorismo verbale di alto livello che mai cede alla tentazione dell’ammiccamento volgare.
Omicidio all’italiana
Maccio Capatonda
Votazione finale
I Giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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