I grandi ritardi nel lavori di ristrutturazione non riguardano solo le opere pubbliche o le angherie di un’impresa di costruzioni verso i piccoli committenti. Era prevista diversi mesi prima l’apertura del grande spazio che le Galleries Lafayette hanno allestito per la loro fondazione culturale a Parigi, Lafayette Anticipation, ma il 10 marzo, al netto dell’aria esageratamente mondana che circolava nell’edificio (è questa, del resto, un’afflizione per tutto il mondo dell’arte contemporanea, non è che potesse scansarla proprio una corporation che appartiene ormai più al mondo della moda che genericamente a quello dei grandi magazzini), si è potuto constatare che il risultato valeva l’attesa. Collocato nel cuore del Marais, l’edificio, risalente e a fine Ottocento, è un ex-qualsiasi cosa (bazar dei grandi magazzini, officina di riparazione dei cappelli di paglia, dispensario, istituto di istruzione per le ragazze, scuola preparatoria per l’insegnamento superiore) che l’architetto Rem Koolhas (già creatore della Fondazione Prada, del Garage Museum di Arte Contemporanea a Mosca, della Casa della Musica a Porto, della Seattle Center Library, dei nuovi edifici della China Central Television) ha realizzato nel segno di un’originale piattaforma mobile, che può trasformare il numero di piani (teoricamente quattro) e intersecare questa flessibilità strutturale con le installazioni, diventandone a sua volta una componente organica con le sue quarantanove modulazioni. L’artista inaugurale, la poco conosciuta Lutz Bacher, offre poca sponda alla proteiformità architettonica, con la sua splendida “Il silenzio del mare”, che potremmo suddividere in: 1) una parte corpuscolare, formata da migliaia di pailletes che le suole dei visitatori spostano per i vari piani dell’edificio ; 2) una parte sonora, il brontolio sommesso del vento sopra l’onda; 3) una parte visiva, consistente in un video che si poteva apprezzare dal terzo come dal secondo piano, sospeso tra i due, proiettato a intermittenza, una perturbante visione marittima che quasi per necessità si offre all’occhio insieme ai visitatori che le si inframezzano, e diventano per forza ingombri, complemento e forza dinamica. L’opera riprende dunque in modo personale e non velleitario uno dei temi più affascinanti dell’arte contemporanea, la capacità dello spettatore di interferire con l’opera e modificarne la consistenza, il senso e la percezione. Nel paesaggio atlantico spiccano i bunker semi-inghiottiti dal fondale ma ancora visibili dalla riva, ultima traccia dei muri eretti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
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