Le decisione di autorizzare l’iscrizione scolastica in presenza di un’autocertificazione dei genitori sulla vaccinazione riporta al centro dell’attenzione pubblica una figura ibrida, molto menzionata ma poco esplorata: l’autocertificazione. Proviamo a spenderci qualche pensiero, non solamente giuridico. Normalmente noi non ci “certifichiamo” ma ci presentiamo per come siamo, il che può originare nel prossimo delle certezze o delle presunzioni: se incontro qualcuno per strada sono certo che è vivo, se apre la porta di una casa alla quale busso tutti i giorni presumo che lì dentro abiti oppure lavori.
Nella gran parte delle relazioni interpersonali ci sono sufficienti quelle poche certezze e quelle tante presunzioni (e per gli stati interiori quasi mai potremo andare oltre le presunzioni). Qualche volta però, per esempio nel momento di un’assunzione lavorativa, servono certezze: chi assume potrebbe aver bisogno di un laureato, e dimostrare di essere laureato non è come dimostrare di essere vivo. Ci va un terzo che lo provi, anche perché il diretto interessato potrebbe non dire la verità e “autocertificare” a un privato che è laureato. I certificati, in senso lato, non provengono solo dalle pubbliche amministrazioni. La ricevuta del pagamento con carta di credito “certifica” che quella transazione è stata effettuata. Nessuno di noi accetterebbe un pagamento di una persona che “autocertifica” di disporre della somma sul conto corrente cui è collegata la carta di credito.
Possono sembrare ovvietà, ma per molti non lo sono. Ai notai che richiedono alla parte un certificato di matrimonio (che ora in realtà possono di solito procurarsi da soli) prima di una compravendita immobiliare capita di sentirsi proporre una “autocertificazione”. Ma con il certificato il notaio verifica che il marito stia vendendo un bene che è solo suo e non anche della moglie (e se non lo facesse, oltre a danneggiare la moglie, esporrebbe l’acquirente a un acquisto invalido). Quando dunque si tratta di rapporti commerciali oppure organizzativi tra privati, l’autocertificazione è una categoria che non ha senso.
La categoria nasce invece nei rapporti con la pubblica amministrazione. Per molte pratiche, infatti, la P.A. chiede alle persone che domandano l’accesso a qualcosa (un concorso, un contributo pubblico) un certificato. Siccome l’amministrazione, che ha ormai potenziato la sua raccolta interna di informazioni, quei dati li possiede, appare vessatorio (anche economicamente) onerare il richiedente dell’obbligo di procurarglieli. Così viene consentito a lui di “autocertificarsi”, in pratica rimandando all’amministrazione il compito di verificarne l’esattezza, e ponendo a carico del richiedente una sanzione penale nel caso che egli li abbia richiamati infedelmente.
Un secondo campo di applicazione, sempre nell’ambito dei rapporti con la P.A., concerne l’avvio di procedimenti che richiederebbero un preventivo controllo di una situazione di fatto prima di concedere un’autorizzazione. Nell’edilizia l’avvio di un’attività è ormai quasi per intero demandato a una dichiarazione con valore autocertificante e il potere dell’amministrazione viene declassato a controllo successivo.
Quest’impostazione è certamente ottimale in termini di speditezza e pone rimedio alla cronica lentezza della burocrazia. Siccome però i limiti di efficienza dell’amministrazione rimangono, molto spesso essa sottende una rinuncia parziale a effettuare realmente i controlli (non di rado l’introduzione di un’autocertificazione corrisponde alla ricerca di un consenso politico) e aumenta il pericolo di abusi. Per questo alcuni settori vengono salvaguardati, ad esempio, per l’attività che mette in pericolo i vincoli paesaggistici si conserva il sistema tradizionale di autorizzazioni preventive.
Con i vaccini danziamo pericolosamente in un campo di confine. Seguendo le indicazioni della comunità scientifica, lo Stato continua a considerare pericoloso per i compagni che un bambino frequenti la scuola senza una copertura immunitaria. Ma come contentino per i dissidenti viene a rendere legittima un’autocertificazione. Eppure per il genitore che ha fatto vaccinare il bambino presentare il certificato non è certo un aggravio, visto che glielo hanno rilasciato. Al contrario, per la scuola il controllo è oneroso, dato che ad oggi non esiste un sistema di anagrafe sanitaria alla portata di una sua diretta consultazione (ed è palese che le risorse umane scolastiche non siano attrezzate per accollarsi nuovi compiti, tanto lontani da quelli connessi all’istruzione). Con l’elevata probabilità dell’assenza di controllo in un contesto che mette in pericolo altri e che rispetto a costoro coincide con la pretesa di “autocertificarsi” efficacemente verso un soggetto privato.
Mentre la nostra società insegue il sogno che la blockchain introduca una perpetua e collettiva autocertificazione digitale delle nostre attività, la trasformazione dei controlli pubblici di legittimità dello stato con il self-service anche in campi che toccano diritti e interessi dei terzi è un grave indebolimento del vincolo comunitario. Se davvero si vuole rafforzarlo in una direzione contraria alla presenza puntuale dello Stato, meglio sarebbe allora rendere valide le autocertificazioni solo se “controfirmate” da altri cittadini, che ne assumano la medesima responsabilità penale (e siano sanzionati, al pari dei trasgressori principali, pure con serie pene accessorie) nel caso che le dichiarazioni siano false.
Scrivi un commento