Franco Arminio pratica “paesologia”.
Una vocazione “che nasce quando i paesi stanno finendo”, che “non misura niente, è uno sbandamento percettivo”,“che ha capito che i luoghi sono importanti” e “sospetta che il tessuto del mondo non è l’amore e neppure l’odio”. Cito da una della sue numerose tracce web, giacchè Arminio è tra i più bravi (artisticamente non commercialmente) a coniugarla con la carta: si legga la folgorante prosa lirico-saggistica che in questo momento apre il blog comunità provvisorie.wordpress.com, “Il mondo è senza spazio”. Ovviamente Arminio è in primo luogo uno scrittore, con una carriera assai rispettabile, e specialmente un poeta che non ha paura di apparire semplice (e che in realtà ha il pregio di far apparire semplici e immediati concetti difficili e sensazioni cangianti). Il suo ultimo volume “Resteranno i canti” mi pare un buon trattato di paesologia, nel senso di esortazione a ripopolare la nostra esistenza intima, il nostro affetto comunitario e la nostra memoria– dando per scontato che siano tutti paesi schiacciati dalla desolazione dell’abbandono o dalla pressione metropolitana dell’accumulo. Per esempio: “Faccio l’ecografia del tuo silenzio/ Non sento niente/ Scruto ogni rumore come se la casa/ fosse un cassetto, /butto per aria il mondo/ per sentire se c’è rumore dei tuoi passi, /il tuo fiato qui nella mia stanza”. Oppure “Questi paesi erano miseria e veleno. /Da qui si partiva/ senza mai avere accarezzato un seno”. Arminio non ci fa mancare nulla: compresi elenchi in versi, haiku, echi di Saba, Sbarbaro e Cattafi. E tanta natura, ma sempre per incastrarci l’uomo.
Franco Arminio
Resteranno i canti
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