È il 7 maggio 1865. Mancano cinque anni alla breccia di Porta Pia, e, nel suo piccolo,Carlo Talloni inquisito per il ferimento di un parroco, si rende precursore di epici attraversamenti di varchi senza nemmeno bisogno di ricorrere a fragore dinamitardo.Nel carcere di Varese buca i mattoni con un chiodo e, col suo fisico filiforme, s’infila nel foro strettissimo che ne deriva, riguadagnando la libertà. Nessuno di accorge per le strade del trotterellare sospetto di quella figura magra, essendo in corso i festeggiamenti per il giovedì grasso.
Inizia la pubblicazione di alcune pagine della sezione “pena applicata” tratta da Derelitti e delle pene
Un libro in tre parti, diverse ma complementari. La prima, la pena pensata, risponde alla domanda “perché punire” e si confronta con le ipocrisie sottese all’attuale sistema. La pena applicata, traccia una minuziosa storia della prigione in Italia, con il supporto di materiali d’archivio, e oscilla spesso tra il drammatico e il grottesco. L’ultima parte, la pena vissuta, è una collezione di brevi monologhi, raccolti dall’autore sulla base di colloqui effettuati nei più importanti istituti di pena del paese: più che resoconto una narrazione, condotta sul filo di una tensione linguistica che mira a restituire nello stile la frammentazione e l’isolamento delle voci ascoltate.
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