Ogni settimana le recensioni di Michele Raviolino sulle trattorie
Qualche giorno fa, in una libreria, gli antitaccheggio mi beccano che esco con un paio di libercoli infilati al posto del supporto plantare del tallone.
Due energumeni mi chiedono se non mi vergogno alla mia età, così prima faccio timidamente appello al richiamo irresistibile della cultura(i volumi in questione erano “Cinquanta sfumature di coniglio grigio di Carmagnola”, “Se questo è un uovo” e “Trippa felicità”), poi confesso che sono cleptomane dell’età di due anni e mezzo, quindi rivendico il mio diritto-dovere di aggiornamento professionale low cost e infine prego che mi lascino andare perché tanto non ho più di sei euro in tasca e lo stomaco comincia a gorgogliare. Alla fine con i guys quasi stringo amicizia, tanto che uno dei due, oltre che una manganellata in una costola da urlo, vuole regalarmi una soffiata: “ Visto che sei un pezzente che gira con sei euro in tasca perché non provi qui a fianco il ristorante dentro Tiger?”. Esatto, Tiger ha deciso di imitare altri brand famosi, tipo Ikea o Moleskine, e aperto un caffè dentro i suoi negozi, celebri per vendere a basso prezzo gli oggetti più inutili e kitsch prodotti dalla Rivoluzione Industriale. L’iniziativa gli ha causato qualche grana perché il nome scelto per la catena, Tiger Foods, è lo stesso di una marca d’importazione sudafricana e quasi il medesimo del celebre golfista, ed entrambi hanno rivendicato l’esclusiva derivante dal deposito del brevetto. Ma alla Tiger hanno tirato dritto e puntato su un innovativo modello di fusion che combina nel piatto cibi poveri (salvo qualche eccezione) con quegli stessi ammennicoli che la gente sgomita per comprare. Lo ammetto, non è un difetto lieve che sia difficile distinguere la parte commestibile da quella plastica ma la disponibilità del pubblico, nel dubbio, a mandare giù tutto (tanto costa poco!) è coinvolgente. Sfida raccolta, insomma, e con soddisfazione. Eccomi dunque ad attaccare il menu degustazione, simpaticamente scorrevole su un rotolo di carta igienica profumata al basilico: mise-en-bouche di spezia di coriandolo e coriandoli di carnevale serviti su vanga portatile, frittata di erbette e gommini pulcino, millefoglie di melanzane e di carte piacentine da gioco (con un piccolo supplemento prezzo per il fante di bastoni), asparagi selvatici spuntati in temperamatite a becco di tucano, anelli di pilates in brodo di tappeto-mucca, penne fiore ai fiori di zucca e inchiostro acido, anatra laccata con smalto da unghie per alluce valgo, cheeseburger e pon pon cheerleader in rafia e rafano, insalata di animali appiccicosi e insetti tremolini, mousse di vaniglia e ciniglia con granelli di blocchetto biscotto e letterine in legno, caffè gourmand servito in calzini yoga. Da tracannare vino della casa sparato dal cannone ad acqua, e come posate qualche coraggioso rinuncia al set di dardi magnetici e alle bacchette luminose da sushi in favore del coprispazzolino a forma di topo che viene ottimo per la scarpetta. Tiger Foods conferma la vantaggiosa politica di prezzi del brand ma pure lo stile mignon sotto il profilo dimensionale: ventuno grammi di cibo (e non) in cambio di cinque euro e cinquantanove. Vado a letto comunque soddisfatto, stretto nel cuscino abbraccio gonfiabile che hanno incluso nel costo.
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