Ogni settimana le recensioni di Michele Raviolino sulle trattorie
Ero in Sicilia ad agguantare l’ultimo morso di estate e sorseggiare una granita a un tavolino quando mio figlio mi fa venire il cardiopalma strillando improvvisamente: “Papà, sta arrivando un piedipiatti!”. Non che abbia niente da nascondere ma non si sa mai. Falso allarme, quello che mio figlio aveva indicato come piedipiatti è un sommozzatore che si china su di me e mi concede una soffiata attraverso il boccaglio: “Vai a magnà al molo 3, da “Infraditos”, dopo di che prende la rincorsa per il molo 2 e si tuffa a candela. Che spunto eccitante! E’ una catena spagnola che sta prendendo piede, sotto diversi profili. Intanto il gioco di affiliazione è che ci puoi entrare solo calzando infradito, che offre sempre una grande sensazione di libertà e di appagamento estetico, anche se non mancano mai gli esibizionisti del dito a martello, dell’alluce valgo o del callo molle. Poi stanno aprendo un locale dopo l’altro con questo colpo di ingegno della sueleta, una forma alternativa di tapas nella quale il condimento viene spalmato sopra il rovescio di un’infradito, che può essere in plastica, cuoio o di paglia, nelle versioni più green. La differenza di fragranza rispetto a certi pani con il lievito madre è inapprezzabile, e per quel poco vantaggiosa perché a un prezzo inferiore mastichi per più tempo. Compatto la famigliola e ci precipitiamo al molo 3 in questo locale dall’arredo rustico ma confortevole, salvo le corna di toro al posto degli sgabelli. La scelta è sontuosa e variegata: infradito con jambon serrano, pimientos e tortilla; infradito con tormentos, jambon serrano e pimilla; infradito con pirrano, sertilla e jambon tortentos; infradito con sermientos, jatilla e jambon pimientos e così ad libitum. Il locale si allinea alla dottrina del cazual food, che oltre all’informalità dell’esofago comprende una certa disinibizione nella relazione tra osti e avventori. In alcuni locali si traduce nella chiamata per nome quando arriva il turno di ritiro, qui per avvertirci della cottura arriva un energumeno di nome Ramon e ci tira uno sganassone a testa da urlo. La sueleta è tutt’altro che malvagia, o almeno ha un animo più gentile di Raul. Nella mia ci avrei messo meno pimientos, o almeno ci avrei messo un altro ingrediente, sarebbe bastato uno di quelli che avevo chiesto. A bere in compenso si tracanna sangria senza economia come se non ci fosse Tria e quando ce ne andiamo mi sento troppo alticcio per guidare fino all’hotel, così mi dico rientriamo con una barca e domattina se ne riparla. Domando da dove parte quella della diciotto e quando saliamo la trovo più affollata del previsto di pendolari. Ahimè, l’equivoco si chiarisce presto, era la Diciotti non la barca delle diciotto. Per fortuna posso mandare giù i bambini perché da queste parti sono umani e li fanno scendere. Poi vi ragguaglierò sul rancio ma da quello che ho letto pare che sia una favola.
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