Ogni settimana le recensioni di Michele Raviolino sulle trattorie
E’ il 24 dicembre pomeriggio, siamo appena tornati con la famiglia da un viaggio stampa di nove giorni per sensibilizzare l’opinione pubblica ai carciofini sott’olio di Montevolpone quando mia moglie,che ha subito indossato quello svolazzante grembiulino bianco da cucina che la rende somigliante all’Arcangelo Gabriele, proclama la sua annunciazione: lo spirito santo di un black out ha generato microtossine da scongelamento nel pranzo deputato al Natale, amorevolmente conservato in freezer dalla omologa celebrazione dello scorso anno, quando il bollito aveva incrociato le braccia di fronte alla nostra ingordigia e preteso un differimento parziale della sua condanna. Che fare? Di scapicollarsi per la spesa dopo lo stress di Montevolpone manco a parlarne, e i locali figurati se non sono tutti sold out. Cerco di estrarre il jolly e chiamo la “Grotta di Maria”, che sarebbe il non plus ultra. Magnifico locale stagionale e tematico, aperto solo per il periodo natalizio, che ormai tra anticipazioni e prolungamenti decorre dal 21 agosto al 14 maggio. Mi rispondono picche ma dopo cinque minuti mi richiamano per un inatteso colpo di fortuna: un charter di pellegrini da Varsavia si è schiantato al suolo e ha lasciato apparecchiata invano una tavola per ventotto persone. E così il 25 la famiglia Raviolino di buon’ora, le dodici e quaranta, si incammina verso il prelibato ristorante di Pier Capponi (già affermatosi presso lo stellato “Ob torto pollo”), lo chef che ha deriso i concorrenti ittici con il celebre motto: “Lessate pure i vostri rombi che noi cuoceremo i nostri zamponi”. La grotta è tale di ditta e di fatto, e la brina che spolvera il buffet degli antipasti non è un dettaglio artificiale. Il personale è vestito secondo canoni rigorosamente presepiali, cui fa da specchio un presepe arricchito di figure più trendy di quelle pur rispettose e rispettate del sacro consesso. Spiccano luccicanti, e di fresca provenienza da San Gregorio Armeno, un pastorello Carlin Petrini e un taglialegna Cannavacciuolo in versione appena intortata dai Nas. Chiediamo lumi sulla carta a uno zampognaro che cerca di spingerci verso le degustazioni più onerose, tre menu riconducibili pare ai maggici (evidenti le ascendenze laziali) dei quali nonostante lo scolorimento prodotto dall’umidità ben fotografo gli appellativi, “Meno Oro”, “Menu Vincenzo” e “Menu Mirra”. Mi pare una buona occasione per mettere a stecchetto la prole, imbolsita dall’abuso di carciofini, e punire la moglie, concorrente nel reato di ammuffimento alimentare, per deviarli a patatine fritte e accaparrarmi l’ambito e più conveniente “menu del falegname”. Senza orpelli esagerati, come buon Gesù comanda: tartare di asinello, coda di bue con pistacchio di Betlemme (paese noto per essere presidio Slow Food), gobba di cammello alla cannella, misto alla maniera di Erode, cotechino, sorbetto Gelindo, zeppole di San Giuseppe. Tutto da urlo, salvo l’attesa per il cotechino. Come mai così tanto tempo? “E’ che lo facciamo sempre con le lenticchie” spiega Pier Capponi. Cristiano perdono di fronte a un onestissimo conto di un euro e venticinque per il totale delle patatine e trentanove euro per il mio menu, incluso un litrozzo di Timorato. “Se fai un salto a Pasqua c’abbiamo il menu a trenta denari” mi rivela tentatore Pier Capponi. E mentre corriamo ad attaccare la corrente per riattivare il frigo, che il prossimo Natale sarà alla porte in un amen, ancora retrosalivo con libidine ed esplodo: “Pancia mia, fatti capanna!”.
Auspico Michele Raviolino prossimo giudice (monocratico) di Masterchef