Ogni settimana le recensioni di Michele Raviolino sulle trattorie
Dopo gli eccessi delle feste mi piacerebbe sollazzare lo stomaco con un pasto leggero e la soffiata per il locale giusto, stavolta, mi arriva con una lettera anonima.
Che non provenisse da una mano amica forse potevo dedurlo dal fatto che insieme alla missiva, nella cassetta della posta, c’era la testa di un capretto sgozzato, ma siccome la carne macellata mi mette allegria ho pensato si trattasse di un segnale cameratesco. E così eccomi, martedì sera, davanti all’insegna de “La mosca al naso”, apertura recente, indicatomi come paradiso del pipp food, non ancora ispezionata dalla guide, della quale apprendo quanto si doveva solo dopo essermi seduto al tavolo e avvicinato dall’oste. Si tratta di Nuccio Secondini, che ha maturato una lunga e proficua esperienza pulendo le latrine di diversi ristoranti stellati. E’ in quella discesa negli inferi gastronomici, ed in particolare nella soppressione dei bacarozzi che le popolavano, che è stato elettrificato, oltre che dai fili scoperti, da un’intuizione, poi rinforzata dai pareri dei più illustri nutrizionisti. Lo saprete, no, come risolveremo nel giro di qualche annetto il dilemma dell’approvvigionamento senza far scoreggiare gas serra dalle vacche al pascolo, insufflare le vene di colesterolo e conservare il medesmo apporto proteico? Con gli insetti! E Secondino ha bruciato tutto sui tempi, con una proposta che è difficile considerare stupida, specie se l’oste ti punta una rivoltella alla tempia perché se il celebre critico enogastronomico se la fila senza provare è tutta cattiva pubblicità per la ditta. Apro dunque la carta con coattiva soddisfazione e nell’alternativa tra il “menu della cicala” e il “menu della formica” opto per la scelta più dispendiosa, ovviamente la prima: una volta che siamo in ballo ronziamo. Ragazzi, superata la repulsione iniziale si deve ammettere che lo chef che sa il fatto suo. Zuppa di zanzare di Zanzibar con zucca e zenzero, tafani e tofu, cavatelli con le cavallette, tartare di api nel loro miele, scarafo nella brodazza, e poi tapas di roba seria, dei presidi Slow Food, come le locuste di Monrupino e le libellule di Fratta Todina. Per poi finire nel sublime (pur un tantino fibroso) Ragnone trifolato. A dover trovare qualche difetto al locale circola qualche pungiglione di troppo e uno, da urlo, mi siringa il gluteo sinistro. A mò di indennizzo Nuccio mi fa assaggiare la conserva di calabroni che sua zia gli invia bimensilmente da Capo Rizzuto. Il tutto inaffiato da vermuth e moscato. Nuccio mi suggerisce di tornare di venerdì, che è la serata del sushi: invece del nastro trasportatore, mi racconta, gli avventori si mettono in circolo sulle sedie e con le padelle o a mani nude spiaccicano le zanzare che senza indugio provvedono a degustare. Chi viene beccato con l’autan si prende lui una padellata sul muso. Il conto, quarantotto euro e trentadue centesimi, non è da ridere, ma d’altronde non è un posto per pidocchi. Onestamente, sarà pure proteico, ma un po’ di appetito lo lascia. Per fortuna nella cassetta della posta c’è ancora la testa di capretto. Il modo ideale per aggiustarsi la bocca. Ci sono già un paio di mosche all’interno ma ormai ho carburato e le trovo davvero il condimento giusto.
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