Antologia di Giudizio Universale, dalla “Guida al corpo della donna”
Quando si parla di orgasmo maschile la questione è semplice: o c’è o non c’è. Non è un’opinione. Quello della donna sembrerebbe di sì. Tu ce l’hai? E dove? E quanto?
Se devo pensare a un segno obiettivo di progresso della condizione femminile,mi viene da citare per prima cosa i dati riportati dai sondaggi a proposito dell’orgasmo: negli anni Sessanta solo il 42% delle donne lo raggiungeva regolarmente, il 26% quasi mai. Nel 2000 le percentuali si sono modificate: il 77% regolarmente, il 10% quasi mai. Va bene che secondo qualcuno l’orgasmo è nulla più che “un lampo nelle mutande” perché dura pochi secondi per volta e quindi, in una vita intera, il curriculum si racchiude (se va bene) in non più di qualche ora. Però intanto il piacere ha svoltato verso l’eguaglianza dei sessi. Eppure la strada era in salita. Pensiamo a quanto sosteneva Freud: l’orgasmo clitorideo è tipico delle immature, una donna fatta e finita l’orgasmo ce l’ha vaginale. Insomma, sessualmente una femmina ha senso solo se viene penetrata, e quindi soltanto quando è a disposizione dell’uomo. Sembrerebbe già una concessione che questa donnina a modo possa (anzi debba) godere senza per questo essere una puttana. Ma le teorie evolutive asseriscono che madre natura ha provveduto così solo per i superiori interessi della specie. Desmond Morris spiega che se dopo il coito maschile la donna si alzasse per andare a fare due passi, perderebbe tutto il liquido seminale. Il suo orgasmo serve a tenerla sdraiata e stordita ancora un pochino, il tempo che gli spermatozoi si incamminino sul sentiero verso la riproduzione.
E qualcun altro ha ridotto il clitoride a un pene di serie C, una versione primitiva dell’organo maschile (magari è per questo che non ha nemmeno un genere grammaticale definito, e si può dire sia il clitoride che la clitoride), come i capezzoli dell’uomo rispetto a quelli femminili. E invece, altro che versione primitiva (e altro che invidia del pene), il/la clitoride è un apparato super sofisticato che comprende circa 8.000 fibre nervose! A raccontare le cose come stanno, il piacere erotico sembra tagliato su misura più per le donne, visto che interessa una parte molto più estesa dei genitali maschili. Oltre al fatto, ovviamente, che quando per l’uomo arriva l’eiaculazione la pratica per lui è temporaneamente archiviata, mentre la donna può avere un orgasmo dopo l’altro. Detto senza volontà di competizione, ma tanto per ristabilire la verità delle cose, e in omaggio e memoria delle donne che sono state considerate malate gravemente di isteria perché si masturbavano.
Un aspetto singolare, prevalentemente femminile, dell’orgasmo è la sua vocalizzazione. Una forma di liberatorio canto d’amore che è inversamente proporzionale alla verbalizzazione del sesso. Se Eve Ensler si è sentita in obbligo di scrivere il suo Monologo della vagina per invitare ossessivamente le donne a chiamare il loro organo sessuale come vagina, appunto, piuttosto che patonza, patatina, passera o cosina, significa che il problema esiste: il pudore linguistico può essere legato a un distanziamento emotivo e fisico dal proprio corpo. Ma l’uscita dalla gabbia, più che nella rivalutazione dello schietto termine anatomico, è in quella esplosione disinibita e chiassosa, che all’uomo non riesce altrettanto bene. È uno dei momenti in cui si capisce che l’uomo, anche spogliato, è abbottonato, e ha timore di esternare le sue emozioni. La donna no. Ha la libertà, e quindi anche la forza, di potersi mostrare fragile.
La controindicazione, semmai, è diventata la necessità di tornare materne proprio nel momento in cui si è amanti, dovendo rassicurare il maschio ansioso anche attraverso i gemiti e le urla di piacere, a costo di fingere, ma credibilmente. La questione era già nota a Ovidio: “Se fingerai guarda che la finzion non appaia / né farà fede il motto e gli stessi tuoi sguardi. / Ciò che ti piace mostrino i tuoi sguardi e l’ansante respiro”. Una capacità, quella che avremmo noi donne di fingere, che è diventata leggenda. Obbligatorio citare a questo punto la scena del film Harry ti presento Sally, quando Meg Ryan simula nel ristorante un orgasmone davanti a un Billy Crystal imbarazzato più dalla scoperta che le donne possono fingere che dalle facce imbambolate degli altri.
Accantonando le discussioni intorno all’orgasmo, parliamo del suo opposto, che è l’ultimo ostacolo posto sulla via della parità di piacere: l’anorgasmo, o meglio l’anorgasmia, che non significa frigidità. L’impotenza maschile è giustificata: non è una scelta e dunque non è una colpa. È un problema a cui è stata trovata la soluzione: la nota pillola blu. Perché se l’uomo smette di avere orgasmi, si estingue la specie. L’anorgasmia, invece, non ha soluzioni a tutt’oggi: è una colpa e basta. In commercio ci sono creme che esaltano il piacere, ma niente che equivalga al viagra. Come se, di nuovo, ci fosse un orgasmo utile e uno inutile.
Tecnicamente l’anorgasmia non impedisce a una donna di avere rapporti sessuali. Recentemente ho letto una lettera scritta a un femminile: una giovane donna, trentaquattro anni, aveva contato più di mille anorgasmi sparsi per partner di ogni sesso, età e etnia. La ragazza, in psicoterapia da anni, concludeva la lettera così: non sono una donna, sono un contenitore di vuoto. La risposta della giornalista non la ricordo, se non per la conclusione: non esiste un centro medico che curi questa malattia. Nella storia ci sono stati, e ci sono, movimenti per la liberazione della donna e della sua sessualità, senza che si sia affrontata l’anorgasmia. A cosa serve la libertà se non puoi volare?
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