“Stefano Cucchi” di Lidia Ravera

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Antologia di Giudizio Universale, dalla “Guida a 49 martiri della storia d’Italia”

1978-2009

Fermato dai carabinieri con qualche grammo di fumo. Fumo. Non ci puoi credere che sarà la fine della tua vita. Hai trentun anni. Quando eri più giovane, d’accordo, ti sei fatto. Cocaina. Ne sei venuto fuori. La famiglia, la comunità.

È la storia di tanti, in questo primo scorcio del nuovo millennio, mentre, nel disordine mondiale, si celebra la morte del ‘900. Stefano Cucchi è un ragazzo normale. Normale, figlio di una famiglia normale, di quelle tranquille e oneste che non contano niente. Niente. Anche Stefano Cucchi non conta niente. Questo è il problema.

Lo fermi, lo porti a Regina Coeli, lo porti a casa sua, dove vive ancora con i genitori, come tanti, perquisisci la sua stanza, non trovi niente, ma non importa, lo riporti in carcere.

In carcere, in nome della legge, in attesa di giudizio, sotto la responsabilità dello Stato italiano (cioè di tutti noi) qualcuno gli spacca la mascella, picchia forte sugli occhi fino a gonfiare di ecchimosi le palpebre. Gli frattura le vertebre.

Picchiano, picchiano duro, Stefano lo sa, che ha le ossa rotte. Chiede di vedere suo padre, il suo avvocato. Non gli rispondono. Sopraffatto dalla percezione della sua debolezza di vittima, della violenza drogata dei suoi carnefici, cerca di reagire. Può soltanto smettere di bere. Rifiutare il nutrimento. È una forma di lotta. È l’ultima difesa, l’unica difesa possibile, di chi non ha armi, non ha diritti, non ha più niente. È in balìa, Stefano, della bestia umana, degli istinti più bassi, scatenati e protetti da una divisa.

Lo portano in ospedale quando è già tardi. Ha 49 battiti cardiaci al minuto. Anche uno studente del primo anno di medicina sa che questo vuoi dire quasi certamente una lesione midollare che interessa le prime vertebre lombari. Nessuno interviene. Nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini, pagato con i nostri soldi, nessuno cura un uomo di trentun anni, ridotto in fin di vita da uno o più assassini, anch’essi pagati dallo Stato, cioè da noi.

Inutilmente, suo padre e sua madre, in un pellegrinaggio carico d’ansia, si presentano tutti i giorni all’ospedale chiedendo un colloquio con i medici. Manca sempre un permesso. Vengono sempre scacciati. Senza un briciolo di rispetto. Senza compassione.

Stefano muore la mattina del 22 ottobre 2009. Ha sangue nello stomaco e nell’uretra. Muore per un edema polmonare da insufficienza cardiaca. A sua madre, una telefonata, finalmente, dalla Giustizia: riguarda l’autorizzazione per l’autopsia. La concedono. È così che una madre viene a sapere che suo figlio è stato ammazzato.

Martire della violenza di uno Stato selvaggio. Drogato. E senza regole morali.

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:14:32+01:0021 Settembre 2018|Giudizio Universale antologia|

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