Ma tutta la comunicazione politica è diventata una distopia: ecco i suoi sette tasselli
Un giorno, durante una campagna elettorale, potrebbe arrivarvi un eccitante messaggio pubblicitario su Facebook. Finalmente avete trovato un candidato, Ciccio Mennella, che realizza il vostro sogno.
“Se sarò eletto realizzerò il Ponte sullo Stretto”.
E’ sempre stato il vostro pallino. Forse perché fate il pendolare tra Reggio Calabria e Messina.
Oppure abitate nella Brianza, ma un’indovina vi ha predetto che nell’esatto momento in cui avessero varato quel ponte, sareste diventato ricco e famoso, per una congiunzione astrale. Però vicino a voi c’è vostro cugino, cui il Ponte sullo stretto è fortemente inviso. Un po’ perché è invidioso e gli scoccia che diventiate ricco e famoso; un po’ perché è spilorcio e pensa a quel che costerà a noi contribuenti (specie poi se è brianzolo).
Il suo volto si è appena illuminato. Gira verso di voi lo schermo del suo smartphone e vi annuncia che ha deciso per chi voterà. Sotto la faccia feroce di Mennella (strano, sul vostro schermo sembrava appena uscito dalla cerimonia giapponese del tè) una promessa inequivocabile:
“Se sarò eletto impedirò che si realizzi il Ponte sullo Stretto”.
Per parlare (non bene) del microtargeting politico ho scelto di partire in salita con quest’esempio, che pare mostrare come ogni epoca di propaganda politica abbia le sue magagne, e al tirare delle somme non è che ci sia tutta questa differenza. Ma è davvero così?
Vediamo intanto, in due parole, cosa significa microtargeting: che i messaggi di propaganda politica possono essere inviati “profilando” le persone che lo ricevono, dopo avere cioè acquisito informazioni, per lo più attraverso le piattaforme, che li riguardano e che mostrano che essi sono ricettivi a certi contenuti. E all’estremo, giungere a differenziare i messaggi per ogni gruppo profilato, non solo focalizzandosi su quel che più sta loro a cuore ma persino abbindolandoli con una promessa che ha un contenuto pubblico ridotto (mostrata solo a quelli che ci credono) e che non si incastra con una promessa divergente – che pure è stata fatta a un gruppo diverso.
Ora, il Ponte sullo Stretto non è stato sventolato a fini elettorali da Berlusconi e Renzi, senza che probabilmente a nessuno dei due passasse veramente la testa di imbarcarsi nell’impresa? Non è un dettaglio, in fondo, che la metodologia della fuffa elettorale venga perfezionata, allineandosi ai parametri tecnologici come era accaduto, ad esempio, passando dalla piazza alla televisione?
Sappiamo bene che le promesse elettorali hanno assunto nella storia sembianze fantasiose e meschine. Come dimenticare il comandante Achille Lauro che consegnava la scarpa sinistra, rimandando all’adempimento del voto scambiato la dazione della destra? Vero. L’esempio però è peggio. Visto che mai sarà possibile accontentare sia voi che il cugino invidioso, è un po’ come se fossero già state date via la scarpa sinistra che la scarpa destra.
A novembre, in vista delle elezioni negli Stati Uniti, (il paese all’avanguardia nel microtargenting politico: ma dateci tempo, ci stiamo lavorando) le piattaforme hanno cominciato a prendere posizione. Twitter ha deciso di sospendere tutta la pubblicità elettorale. Google ha annunciato che prenderà misure contro la profilazione della campagne politiche. Facebook ci sta pensando, seriamente. Tanto seriamente che si attende da oltre un mese che dica qualcosa di definitivo (senza troppe speranze: una delle ultime dichiarazioni di Zuckenberg era più o meno che se Trump annuncia sui social l’arrivo dei marziani lui non può certo mettersi a sindacare).
Non c’è bisogno di arrivare all’ipotesi di plateale fraudolenza che ho descritto. Limitiamoci al quotidiano, che è ben noto e che già in una circostanza avevo chiamato in causa per le fake news. Avevo scritto: non è la bugia che trova chi ci crede ma chi ci crede che trova la bugia. Grazie alla profilazione ciascuno riceve i messaggi che desidererebbe ricevere, e ai quali è propenso a credere. Di solito sono quelli delle aziende commerciali. Ma sempre più frequentemente sono quelli di contenuto politico. C’è una bella differenza. Se qualcuno viene manipolato nel campo commerciale le conseguenze (entro certi limiti) ricadono su di lui. Se viene manipolato nel campo politico ricadano anche sugli altri.
Nel mio libro “Contro il target”, correva il 2008, lamentavo che la targetizzazione avesse invaso la politica. I partiti avevano smesso di orientare la comprensione (cercare di convincere gli elettori all’adesione ideologica) e si dedicavano a comprendere l’orientamento: grazie ai sondaggi individuavano le domande nel “mercato politico” e si adoperavano per soddisfarle, proprio come un’impresa in cerca di profitto. Solo che se per un’azienda si può trovare normale che scelga la produzione in funzione di ciò che chiede il mercato, fino a non tanto tempo fa uno si aspettava che un partito politico cercasse di affermare le proprie idee, e che queste non fossero esattamente intercambiabili. Invece dove c’era uno spazio di mercato aggredibile presero a nascere start-up politiche: da Berlusconi, precursore, a Macron, più recente (anche il passaggio dalla Lega separatista a quella nazionalista, evidentemente, è assimilabile a una start-up). Ovviamente questo significa che la politica ha formalmente rinunciato all’aspirazione di migliorare la società. Come il cliente, l’elettore ha sempre ragione.
La profilazione che conduce al microtargeting politico è solo la punta d’iceberg di una distorsione del funzionamento ideale di una democrazia, che può essere così riassunta per sommi capi:
- Il voto non va conquistato mediante l’argomentazione razionale di programmi ma grazie alla suggestione emotiva.
- Il miglior modo di sollecitare l’emotività è una campagna snellita degli aspetti più problematici, fondata sulla denigrazione dell’avversario e lo stimolo degli istinti più immediati, ispirata alla pubblicità.
- La campagna elettorale non è un appuntamento periodico ma uno stato di mobilitazione emotiva permanente.
- Il linguaggio politico va costantemente destrutturato in una serie di messaggi comparabili a uno spot (su questo specifico tema tornerò in un prossimo articolo).
- La profilazione sul web consente di raggiungere massicciamente le persone meglio plasmabili da uno specifico messaggio politico.
- Un numero crescente di persone si informa (per così dire) solo attraverso la lettura dei messaggi politici semplificati e profilati.
- I media tradizionali, d’altronde, si sono uniformati alla logica della targetizzazione e stanno ben attenti a non scuotere i pregiudizi politici dei loro lettori.
Non dobbiamo ammettere che si tratta di una distopia bell’e buona?
Sarà anche vero che la profilazione aiuta a raggiungere i soggetti interessati a specifiche e meritorie militanze, ma il prezzo è troppo alto. E il fatto che in regimi dittatoriali la profilazione dei messaggi aiuti a organizzare le rete dei dissidenti (ammesso che sia vero) non deve far dimenticare che gli strumenti per ottenere la profilazione sono gli stessi che consentono al regime cinese di individuare e spegnere quella dissidenza, e sono l’armamentario delle dittature future.
Ripeto però che agitarsi per la profilazione ha senso solo se si mette in discussione tutto il sistema di formazione dell’opinione politica che ho appena descritto, e che va attaccato in tutti quei sette modi di manifestazione, quanto meno opponendo loro degli ostacoli invece che stendendo dei tapis roulant.
Quale utopia conclusiva di “Contro il target”, ipotizzavo degli strumenti simbolici – ma anche pratici – di detargetizzazione sociale. Uno era il link (un altro era la metropolitana, ma ne parliamo un’altra volta), che tende a generare una ramificazione ingovernabile che costringe il titolare dello spazio web a cedere una parte del suo monopolio discorsivo, lasciando libero il navigatore di costruire un suo senso personale. Sono passati dieci anni e accade che: a) con lo spostamento della navigazione dai siti ai social sia divenuto più agevole per lo spazio di partenza arginare la diramazione; b) i link suscitano un appeal ridotto sui frequentatori dei social.
Di nuovo il problema del web torna a rivelarsi la sua infrastruttura, che determina in modo quasi esclusivo le abitudini di ricerca, informazione e lettura degli utenti. Non può essere un artefatto ingegneristico concepito a fini commerciali a impedire tecnicamente lo sviluppo di una cittadinanza attiva e critica. Senza quest’ultima, la democrazia diventa progressivamente una finzione, e non bisognerà poi sorprendersi quando sparirà del tutto, senza che la maggior parte delle persone nemmeno se ne accorga.
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