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Recensione della rivista “Origami”

Un italiano che si sposta a Parigi si imbatte in tanti piccoli dettagli surclassanti sul piano del civismo e della cultura. Tipo che un cellulare in pubblico non squilla mai (e se capita significa che è di un italiano), nel metrò almeno tre persone su dieci leggono un libro o un giornale, e ci sono ancora un bel po’ di negozi con i giochi educativi.Ma uno dei salti più impressionanti per gli insoddisfatti del nostro paese è l’edicola, dove le testate politiche e culturali sovrastano quelle più fatue. Resiste, con una sua quota di pubblico affezionato, un magazine mensile dedicato alla filosofia e uno alla letteratura. I periodici d’arte sono una vagonata. Escono persino delle novità, e una di quelle più recenti (dal 2014) è L’1, settimanale diretto da Eric Fottorino, ex direttore di Le Monde (autore fra l’altro di un discreto romanzo pubblicato in Italia da Nutrimenti), che ha avuto una splendida idea da integralista del vintage. Nel momento in cui tutti dicono che la stampa cartacea di taglio informativo è in estinzione, bruciata dalla dittatura dell’attimo digitale, ha messo in pista un grande foglio ripiegato che, aperto per intero, torna al formato del quotidiano di inizio secolo ma di fatto è composto da sedici pagine che però si sovrappongono e offrono molteplici soluzioni grafiche. Insomma, vintage ma non passatista, poiché l’occhio viene sollecitato da un dinamismo cui proprio il digitale lo ha allenato. Sul piano del contenuto, la caratteristica è di affrontare un solo argomento per numero, esplorandolo nelle pieghe più svariate. Come dire che la forma riproduce la sostanza: si piega, si apre, ci si allontana dal punto di partenza, ce lo si ritrova in mano arricchito.

Un anno fa La Stampa ha pensato di riproporre la formula in Italia (in collaborazione con L’1: ma immagino si tratti più che altro di consenso) affidandola a un colto cosmopolita come Cesare Martinetti, già vice direttore del giornale e corrispondente da Mosca e Parigi. Il nome scelto, “Origami” è già una delizia. La carta di qualità realizza un bell’oggetto e suscita i pruriti del collezionista.

Ma la vera scommessa non è tanto la carta quanto l’approccio al tema, sideralmente distante dal “consumo” veloce di informazioni. Sei o sette articoli, da angoli di osservazione differenti, tutti protesi verso la riflessione lenta e l’approfondimento. Un uso molto parco delle cifre a vantaggio piuttosto delle mappe concettuali: anche questo scostamento dall’ossessione (a volte illusione) della misurazione è piacevolmente sui generis. L’obiettivo non mi pare in effetti quello di rendere dotti su un argomento bensì di suscitare un pensiero come: “Ah! Non l’avevo mai visto sotto questo profilo”. Inevitabile che venga meglio quando il tema scelto è astratto, ad esempio la noia, piuttosto che concreto, come la partecipazione politica o la Buona Scuola. Fra i picchi di qualità intellettuale, veramente notevole il numero sul selfie, nel quale la fotografa Cristina Nunez indica come per l’autocoscienza siano più utili gli autoscatti cestinati che quelle pubblicati e il paleontologo Claudio Tuniz accosta al selfie le impronte delle mani sulle pareti che i nostri antenati di 40mila anni fa realizzavano con il supporto della polvere di ocra: e azzarda che il nostro narcisismo, nella misura in cui è desiderio di rappresentare se stessi, costituisca un decisivo vantaggio evolutivo (in generale, meglio i numeri dove si abbonda in firme poco prevedibili ed esterne alla Stampa). Ogni settimana c’è una poesia di Maurizio Cucchi (eccone un estratto dal numero sul selfie. Apparire si sa/ è il comando nella varietà totale/nell’orizzonte piatto e virtuale/del proprio nulla o del proprio/ vuoto bidimensionale) e due colonne caustiche ed eleganti di Maurizio Maggiani. Poi una scelta non banale di citazioni classiche, che quasi mai riguardano direttamente l’argomento e invitano il lettore a uno sforzo di completamento del senso; e ogni numero una striscia di illustrazione o graphic novel di giovani talentuosi, spesso già affermati. Tutto al costo modico di un euro e cinquanta.

Martinetti è al posto giusto: perché ha esperienza ma anche ingenuità, tanto da scrivere una lettera agli edicolanti per invitarli a esporre il giornale, come se alla maggior parte di loro potesse davvero fregare di venderlo. È  palpabile la difficoltà nella quadratura economica (perché poi l’Italia non è la Francia) e anche l’ardimento micro-redazionale, è palpabile lo struggente amore creaturale che un’impresa editoriale, tanto più è improbabile e solitaria, suscita in colui che la genera. Chi si trova a suo agio su queste colonne, e a casa si trovava con il Giudizio Universale, di sicuro troverà molto confortevole “Origami”.

 

Origami

Settimanale

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:17:02+01:006 Dicembre 2016|Il Nuovo Giudizio Universale|

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