La prima crepa nel castrismo ortodosso provenne da Fidel stesso, quando con una legge del 1997 consentì ai cubani di affittare stanze delle loro case ai turisti, un’apertura all’iniziativa privata.Nacque così un’alternativa agli orridi hotel statali e una possibilità di contatto più stretto tra gli stranieri e i cittadini.Con la riforma di Raul le casas particulares si sono moltiplicate, e alcune hanno assunto una fisionomia più confortevole.
I proprietari delle casas particulares sono diventati un piccolo ceto privilegiato, e hanno dunque incrinato il livellamento verso il basso dei redditi, specie adesso che il paese è andato incontro a un notevole peggioramento economico.L’ospitalità cubana rende il soggiorno piacevole dentro un arredo che alterna splendori coloniali e miserie post-coloniali. L’aspirazione a differenziarsi come classe si riscontra in due dettagli: anche se le stanze sono poche, e potrebbero ben essere gestite in famiglia, in quasi tutte c’è una “servitù” che le risistema. E i proprietari non escono praticamente mai, come se non volessero più mischiarsi alla strada, dove gli altri continuano a trascorrere buona parte della giornata.
In pochi altri posti al mondo, in effetti, si vedono tante persone sedute per ore sui gradini dell’uscio di casa. E’ incredibile quante motivazioni si intravedano in un’azione tanto inattiva: osservare il passaggio, perdersi nella memoria, respirare fuori dalla calura domestica, accogliere il nipotino, muoversi al ritmo dei suoni caraibici che provengono dai locali, cercare di vendere cianfrusaglie al turista.
Le immagini più struggenti di Cuba (in particolare all’Avana e a Trinidad), tuttavia, sono quelle al calar del sole, quando, almeno durante l’estate, le famiglie che si ritirano nel loro salotto lasciano aperta la porta o la finestra che dà sul passeggio, e trascorrono la loro serata, in un modo che a prima vista appare ripetitivo (seduti davanti alla televisione, perdendo ogni interesse per ciò che accade fuori): ma è un racconto esclusivo ogni espressione del volto, ogni composizione delle figure, ogni affastellamento di oggetti e di memorie, ogni parete spoglia. Ciascuno si è impegnato nella personale organizzazione della sua povertà.
Sarebbe bello fotografarne, ma lo stacco di luce tra l’esterno e l’interno rende impraticabile l’operazione a un neofita, a meno di chiedere permesso e di farne modelli in posa. Non ne verrebbe solo guastato il naturale lirismo, ma si cadrebbe nel folclorismo idiota del “Oh, molto pittoresco” che assolutamente non vorrei suscitare nemmeno con queste poche righe, e forse si ferirebbe la dignità che in quello spazio intimo, e involontariamente scenico, ciascuno di loro mostra di custodire perfettamente. La colorata Cuba, anche quando i mobili sono infiammati di colore, è nelle case sempre un’immagine in bianco e nero.
E’ la stessa sensazione provata nelle Buick dei tassisti che conducono da una parte all’altra del paese, con una maestria di guida sulle strade piene di buche che li rende forse i più bravi guidatori al mondo. Scrutando quell’ode al passato che sono i loro interni pare che i cubani siano, allo stesso modo, i più bravi ad abitarli, dove abitare significa semplicemente fondersi con la casa, sino a non saper più distinguere l’uno dall’altro, la casa e chi la abita.
Il confronto non va fatto con l’Occidente: se non ci fosse stato il castrismo Cuba sarebbe un’altra Haiti. Non è che ci sia da invidiarli. Eppure nella delicata sospensione di quel loro tempo, apparecchiato per quel che si può, si coglie il soffio di qualcosa che noi abbiamo smarrito.
Interni delle case cubane durante la sera
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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