“Mi ha ritwittato Obama”. Questa giustificazione del successo letterario risulterebbe ostica alla comprensione se enunciata
a qualcuno che si fosse assentato dal mondo per una quindicina d’anni. Ma tant’è: Kristen Roupenian era un’onesta e il più delle volte rifiutata scrittrice di racconti prima che uno di questi, accolto dal New Yorker, ottenesse milioni di visualizzazioni grazie a questa inattesa sponsorizzazione – che l’ha poi condotta a un contratto da un milione di dollari per la sua raccolta, ora proposta in Italia da Einaudi con il titolo di quel famigerato “Cat Person”. Ci vuole fortuna, a volte solo per vedere riconosciute le proprie doti. Che nelle Roupenian non sono poche se si supera il fastidio per una certa impostazione scolastica (cioè da scuola di scrittura) dello stile. E però (le doti) non spiccano più di tanto nel testo con cui ha conquistato la fama, che ha beneficiato in surplus di una presunta e malintesa trasfigurazione narrativa del #MeToo.
Partiamo proprio da quello. Una ragazza di vent’anni, Margot, è attratta da un trentaquattrenne (Robert) con cui ha scambiato poche e banali parole, molte delle quali smessaggianti; si trova coinvolta nello sviluppo sessuale dell’incontro, scopre di non averne tutta ‘sta voglia – e dalle torto perché il tizio è veramente scarso di sex appeal – però giudica psicologicamente più faticoso tirarsi indietro. Il tema sarebbe cucito alla perfezione per la violenza prevaricatrice sulla donna che ci ripensa, ma non è la strada che percorre la storia. Robert in definitiva è innocuo e porta sì a termine la sveltina ma è progressivamente soccombente verso Margot che, abbandonato il momento d’intimità, si sente in diritto di trattarlo come una pezza da piedi e, per dirla tutta, ha perso l’interesse appena il gioco di potere attivato dalla sessualità ha fatto di di lei il soggetto forte. “Cat Person” descrive uno stato interiore interessante, che non è quello del sesso violento ma del sesso inutile, tanto inutile da non raggiungere neanche la dignità perversa dello squallore.
È questa tutto sommato la traccia dell’intera raccolta, che include storie di qualità differente, per la maggior parte scritte con meno sciatteria di “Cat person” e anzi impreziosite da un ritmo serrato e una costante focalizzazione sull’essenziale. Se si vuole individuare un marchio femminista lo si trova piuttosto in “Mordere”, nel quale una giovane donna, che da piccola aveva l’abitudine di addentare aggressivamente e l’ha poi rimossa per esigenze di integrazione sociale, si trova tuttavia assillata da quell’atavico istinto, che riaffiora prepotentemente verso un datore di lavoro particolarmente stronzo. Le piacerebbe tornare a esercitare le mandibole e calcola che potrebbe simulare di essere stata molestata sessualmente per pararne le conseguenze. La short story è speculare a quel vecchio e odioso adagio maschilista per il quale puoi tornare a casa e picchiare tua moglie e non avrai mai torto, perché magari tu non sai il perché ma lei sì. Qui si ricava che se un uomo è disturbante e la donna intende morderlo una buona ragione ci sarà sicuramente, anche se lei ancora non la conosce.
Kristen Roupenian propone una narrativa gotica, a volte originalmente horror, che avrebbe fatto felice Lacan per quanto ruota cupamente intorno allo scacco del godimento e del desiderio e per come potrebbe sottoscrivere che il rapporto sessuale non esiste nei medesimi termini del Seminario XX. È una casualità o una reminiscenza che in un racconto (ottimo) il perno metaforico sia una scatola di fiammiferi della quale, pur di cedere a un’ossessione, non si vuole ammettere che sia vuota? Evoca quando Lacan aveva identificato l’organizzazione del vuoto nelle scatole di fiammiferi (vuote) che collezionava Prévert. E in un racconto su una principessa patologicamente narcisista fa sfoggio la perpetuazione in età adulta dello stadio dello specchio, sempre lacaniano. Chissà. Il testo, che non si concede grandi licenze digressive fuori dal tallonamento presentificato dei personaggi, non ci offre spiragli per sapere se Kristen è lacaniana per studio o per discesa dello Spirito Santo.
I dodici racconti descrivono un’epoca fondamentalmente infelice, post-romantica ma anche post-erotica per via della repulsione che i corpi tendono infine a suscitare. Le persone sono afflitte da un’irrimediabile coazione a ripetere e incapaci di legarsi attraverso fra loro attraverso i discorsi; il desiderio sessuale è quasi sempre attraversato da una malformazione o una perversione. La Roupenian è abile a non rendere questo quadro troppo deprimente, anche se il prezzo per alcuni suoi personaggi è di essere trascinati nel ridicolo (cioè è un prezzo nella storia, ma narrativamente bilancia benissimo). È un ottimo esordio, seppure la linearità delle trame provochi una certa rigidità strutturale. Ha il talento per osare di più, e lo dimostra ad esempio un racconto visionario, stimolante ed estremamente gotico come “Sardine”. Vediamo coma va il prossimo, specie se lo ritwitta Trump.
Kristen Roupenian
Cat Person
Traduzioni di Cristiana Mennella, Gianni Pannofino, Maurizia Balmelli
Einaudi
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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