Era cominciata così bene e invece…questo potrebbe essere il rimpianto della protagonista ma, per come la vedo io, anche dello spettatore. Alice è una ragazza svizzera che negli anni settanta arriva a Beirut (erano gli anni in cui il Libano era chiamato la Svizzera del Medio Oriente) e incontra Joseph, un bravo giovanotto locale che per la testa non ha grilli ma, peggio, il tarlo di costruire un missile che un giorno porterà un libanese sulla luna. I due si sposano, fratelli e sorelle di Joseph sono accoglienti e mattacchioni, nasce una figlia che in men che non si dica (almeno nel tempo cinematografico) diventa quasi maggiorenne, Alice vende i suoi disegni e Joseph prosegue nel suo ambizioso progetto, circondato di una crescente credibilità.
In questa primissima parte Chloe Mazlo, attrice e artista visiva franco-marocchina al suo esordio da regista, a parte un cartoon corto, si avventura in mélange tra attori animazione, stop motion, inquadrature su sfondo fisso e non reale con una piacevole e calda tonalità di colori, bruschi scarti simbolici e surreali e lo fa con una certa grazia naif che rende l’inizio di Alice dolcemente straniante e naif, bizzarro e accattivante. D’altronde Alice si chiama Alice mica per niente, e ci viene proposta anche nella fisionomia alla stregua del grande riferimento fiabesco. Poi passa (virtualmente) attraverso lo specchio, cioè il contesto al quale si era attaccata si tramuta in un orrido scenario di bombe e guerra civile. La casa si affolla degli sfollati parenti di Joseph, i giovani cominciano a pensare che è l’ora di lasciare il paese, e pure quelli meno giovani. Le fazioni libanesi vengono rappresentate da uomini mascherati ridicolmente che sempre allo stesso incrocio accumulano sacchi di pietra, imbracciano i kalashnikov e fanno a botte; quando si giunge alla teorica pacificazione, le forze di pace te le raccomando, militari con il passamontagna che approfittano dei mandati di perquisizione per appropriarsi della casa, farsi servire a tavola, fumare a più non posso e suonare il pianoforte. Joseph è sempre più depresso, e Alice si infuria perché pare che lei, proprio lei venuta da fuori, è l’unica che non vuole mollare.
Si può anche comprendere che, con il progredire tragico degli eventi e la fine dei sogni, la regista opti per sfumare e ridurre la varietà espressiva, e tuttavia l’unità stilistica ne esce assai indebolita. Ma i veri nodi di irrisoluzione de “I cieli di Alice” sono il senso e il contenuto. In termini narrativi la storia è molto scialba, e la psicologia dei personaggi piallata. Ma specialmente è del tutto inaccettabile (fossi un libanese sarei furioso per questo) presentarlo anche vagamente come un’opera sulla tragedia del paese, del tutto disinteressata com’è a offrirne se non un embrione di spiegazione almeno una traccia che la renda diversa che se ci avessero detto che a sparare fuori c’erano i tartari. Detto a chiare lettere: i disegni che Alice fa nel film sono molto stilizzati. Ecco, il film è uguale. Ha la sua unica forza in sei o sette scene di grande simbolismo metaforico (cioè sceglie un modo molto originale di descrivere in modo alternativo quelle che sarebbero le scene crude della realtà, oppure tradurre in scena stati concettuali), e solo tale qualità gli evita di rimanere avvolto nella lentezza esasperante, capace di sfidare anche quella che sarebbe l’asprezza drammatica del contesto. Un contesto che intimamente conferisce un eccesso di spiacevole levità al formalismo estetico, senza che neppure trovi compimento ed equilibrio il registro straniante (in stile Tati o Il mondo di Amelie) cui il film vorrebbe affiliarsi. E Alba Rohrwacher, nella sua carriera comincia troppo a recitare sempre la stessa parte, e in termini di prevedibilità, trascorso un quarto d’ora, se pure a lei piazzavano una maschera di Carnevale, come a quelli che stavano all’incrocio, era la stessa cosa.
I cieli di Alice
Chloé Mazlo
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate pasquali, e auguri.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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