Recensione di Works for orchestra
Eccolo qui, che ritorna. Si chiama Bates. Ha la passione di combinare il suo background di dj con la musica classica. Una sua composizione è per orchestra, personal computer e altoparlanti disposti in mezzo agli archi per diffonderne e alterarne il timbro.Già questi pochi elementi indurrebbero a pensare che costui all’anagrafe faccia Norman e che trastulli musicali tanto balzani siano nulla più che il seguito di altre sue vecchie fobie(obiettivamente più torbide), come riempire la casa di animali impagliati, uccidere la madre facendola rivivere nella sua voce per quindici anni e accoltellare Janet Leigh sotto la doccia.E invece questo Bates qui si chiama Mason, è un quarantenne estremamente lucido e purtroppo quasi sconosciuto in Italia (mentre comincia a essere assai celebrato negli Stati Uniti, dove è nato).
Arrivando al termine del 2016, tuttavia, si può considerare il cd Works for orchestra come la novità di classica più interessante dell’anno. La registrazione è del 2014, nell’esecuzione della San Francisco Simphony diretta da Michael Tilson Thomas ma i brani sono di qualche anno prima. Nel frattempo la carriera di Bates corre spedita: il prossimo passo sarà, nel 2017, la sua prima opera lirica, sul personaggio di Steve Jobs. L’intento di Bates rimane però lo stesso, e benché assai complesso sul piano creativo-realizzativo è concettualmente piuttosto semplice, e consiste nell’espandere le sonorità dell’orchestra con le tecnologie digitali. Quel che è impressionante è la gamma culturale messa insieme dentro quest’obiettivo, che tira dentro hip hop, techno, jazz e rock progressive. Forse nessuno sin qui, aveva praticato con tanta disinvolta maestria una simile fusione di generi (Uri Caine si è per lo più “limitato” ad accorciare il confine tra classica e jazz, e reinterpretato i classici attraverso l’improvvisazione). Attenzione, però: è quella che in diritto si definisce una fusione per incorporazione, dove non ci sono più unità che danno origine a un soggetto nuovo ma un ente principale che ne aggrega altri. Quando non si tratta di mettere in pista suoni digitali, Bates si muove assolutamente all’interno della musica classica, salvo che nell’uso delle percussioni rivolte sempre a sentieri differenti: quelli ad esempio del prog-rock nel secondo movimento di The B-Sides e quelli della warehouse tecnho nell’ultimo movimento della stessa B-Sides e nel penultimo di Alternative Energy. Ma l’esito complessivo è riconducibile ad altre matrici: Liquid Interface vanta una discreta continuità dentro la musica americana (Bernstein, Copland, perfino Gershwin) e in B-Sides gli archi e i fiati riecheggiano spesso il Britten del Peter Grimes.
I lavori contenuti nel disco sono questi tre, The B-Sides, Liquid Interface e Alternative Energy. A dimostrazione del fatto che Bates non è un eversore tutti riprendono l’antica caratteristica della musica a programma, cioè la descrizione di eventi e situazioni attraverso l’espressione musicale: ora lo scioglimento della calotta polare artica, ora il funzionamento della fabbrica fordista. Detto così può incuriosire o scoraggiare. In realtà è musica con picchi melodici tonali che coinvolge anche senza sovrastruttura narrativa e dove (come è raro nella classica contemporanea) ogni tensione trova un proprio punto di risoluzione.
Gli innesti digitali di Bates sono discreti, come lo è il personaggio. Le registrazioni dal Fermilab, che studia le collisioni delle particelle, a tallonare i movimenti dell’orchestra sono un esempio dell’eccitante innovazione che pervade il disco. Come fu per il montaggio di Psycho che nella scena della doccia fece vivere allo spettatore tutto il granguignolesco orrore della scena senza che si vedesse mai il coltello penetrare nella carne.
Mason Bates
Works for orchestra
San Francisco Simphony- Michaael Tilson Thomas
SFS Media
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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