Recensione del film “Don’t look up”

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Un mio amico dell’adolescenza aveva una formidabile capacità di interpretare il ruolo dello spirito di contraddizione, trovando sempre un nero da contrapporre al bianco. Si superò di fronte all’osservazione che il film Guerre Stellari divideva in partiti, chi lo considerava un’esperienza mistica e chi un orrendo cartone animato. “Io l’ho visto, l’ho trovato così così” liquidò la questione con una rara perla di bastiancontrarismo (credo di avere già usato l’aneddoto su queste pagine, ma una volta ogni paio d’anni si potrà, no?). Non solo per reminiscenza nostalgica, ma per genuina convinzione, questa sarebbe anche la mia conclusione su “Don’t Look Up” che pure, sembra, sventri la comunità degli spettatori in due metà inconciliabili. Un così così, tuttavia, propendente al benevolo, trattandosi di intrattenimento divertente pur se ridondante (un po’ come quelle serate con ospiti dove commenti: ah che risate, ma a una certa ora pensi che è abbastanza e ti chiedi quando se ne vanno; nel caso del film due ore e venticinque) e di nobili intenzioni.

La trovata del plot è discretamente banale (e la metafora è spaziale; spazzziale forse diranno metaforicamente gli amanti del film): due astronomi di un osservatorio periferico (Leonardo Di Capri e Jennifer Lawrence, in ottima forma ) individuano un asteroide che viaggia verso la terra e che secondo i loro calcoli vi si schianterà contro in sei mesi e quattordici giorni annientando ogni forma di vita. Riescono a essere introdotti al cospetto del presidente degli Stati Uniti e della sua corte, ma quella (è una donna, ed è Meryl Streep) tiene che fare, e poi sai mai che con questa storia dell’asteroide in arrivo gli elettori si grattino i genitali e le neghino il prossimo mandato. Allora i nostri eroi si rivolgono all’opinione pubblica e ottengono di andare in onda nello show con più audience d’America, la cui qualità consiste nel rendere tutto volgarmente rassicurante e ridanciano. Ma non bucano il video (cioè Di Caprio si, però in un modo involontariamente distorto) e la notizia fa il solletico a quelli che ora sono tutti presi dalla tresca amorosa di una influencer (Ariana Grande, che canterà pure) con un rapper. Così sui social la vicenda non decolla, quindi è come se non esistesse. Il cinismo politico dell’amministrazione si concilia colla spietata brama di profitto di un guru imprenditorial-tecnologico (Mark Rylance, mezzo Jobs e mezzo Elon Musk) che algoritmeggia sui benefici dell’asteroide e prepara una strategia alternativa di migrazione nello spazio.

Ma l’asteroide comincia a intravedersi anche senza telescopio, si scatena qualche sterile sommossa di piazza, e montano le fazioni “Don’t look up!” e “Look up”. Adam McKay imbarca sulla sua astronave una quantità esagerata di star del cinema, con la presunzione che qualcosa di utile da fargli fare si troverà (e ad esempio per Timothée Chalamet la convinzione è fallace), elettrizza con il montaggio frenetico e la colonna sonora, divarica le angolazioni visive (tutto più mestiere che fantasia, però) e la sceneggiatura piazza diversi affondi spassosi. Ovviamente il film ambisce a parodiare in modo militante l’attualità, e dietro l’inerzia politica, l’istupidimento del popolo bue, l’inanità della scienza è facile riconoscere Trump, la crisi climatica, la pandemia, i social e così via.

Se il monito e l’indirizzo del film sono altamente drammatici, il registro è quello del grottesco comico, che però rimane di maniera, poco creativo nella costruzione dell’assurdo (il presidente Meryl Streep starebbe meglio in una strip cartoonist) e sovente non tanto distante dal reale: quest’ultimo dato potrebbe scuotere lo spettatore se le immagini non fossero percorse da una latente indulgenza, grazie alla quale qualunque imbecille può alzarsi e condividere la satira senza avere capito di esserne parte. In questa stessa indulgenza rientra un progressivo e fastidioso didascalismo, dal quale nasce il sospetto che McKay non abbia tanta stima del pubblico di Netflix e sia preoccupato che, seppure alzasse la testa seguendo un’indicazione, guarderebbe il dito invece che l’asteroide.

Don’t Look Up

Adam McKay

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate pasquali, e auguri.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-28T16:10:14+01:0028 Gennaio 2022|2, Il Nuovo Giudizio Universale|

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