Tutti lo sanno
Film e buoi dei paesi tuoi. Il grande regista iraniano Asghar Fahradi aveva già diretto un film in territorio e lingua non iraniana, e precisamente “Il passato” in francese. Ma con “Todos lo sabes” (“Everybody knows” e poi vedremo quale sarà il titolo all’uscita in Italia), che ha inaugurato la scorsa settimana il Festival di Cannes,
si è avventurato in un ambiente per lui esotico senza possederne la padronanza culturale (non so se è una leggenda metropolitana ma si dice che non conosca una parola di spagnolo). Così ha portato in valigia i temi tipici della sua narrazione moralmente ispirata (la famiglia, il passato che non passa ma si accumula, l’opacità nei legami affettivi, le crepe che gli impulsi provocano nella razionalità) ma il travaso nella realtà ispanica è risultato appesantito, oltre che dalla peculiarità più mediorientale che iberica delle ragioni di conflitto (le rivendicazioni sulla terra), dalla stereotipizzazione della Spagna e delle sue dinamiche relazionali. Però sempre di Fahradi si tratta: per quanto, alla settima opera, sia il suo primo mezzo passo falso nemmeno è quella catastrofe che le recensioni del giorno dopo hanno descritto (anche per il gusto iconoclasta di dipingere un’inaugurazione alla Cannes del gas) ed è comunque un bel modo di trascorrere due ore. Poi che le aspettative fossero alte e altre è un discorso diverso.
La storia nasce dal breve ritorno in Spagna di Laura (Penelope Cruz) con i suoi due figli in occasione del matrimonio di una sorella. La prima mezzora abbondante sforna un ammasso di personaggi che fanno un casino puerile e inenarrabile, come al regista pareva d’uopo trattandosi di spagnoli. Il più interessante, vuoi perché si capisce che sarà destinato a prendersi la scena, vuoi perché lo interpreta Javier Bardem, vuoi perché gli altri sono veramente antipatici o eccessivamente stilizzati, è Paco, un amico della famiglia e già fidanzato di Laura. La trama entra nel vivo quando Irene, la figlia maggiore di Laura, sparisce, apparentemente rapita durante la festa di matrimonio. Sul suo letto vengono abbandonati ritagli di giornale che evocavano un caso analogo accaduto anni prima in quegli stessi luoghi, quando la bambina sequestrata era poi stata uccisa perché i genitori non avevano rispettato la consegna di non avvertire la polizia: ritagli che avevamo visto eseguire da una mano invisibile nella primissima scena del film (forse un dettaglio autobiografico: Fahradi aveva questo film in mente da molti anni, da quando aveva letto di una vicenda simile proprio in Spagna.
Benchè Fahradi sia molto bravo nel generare tensione dall’invisibilità del rapimento (i cui segni palpabili sono soltanto i messaggi che arrivano sul cellulare di Laura e di Bea, moglie di Paco), si capisce presto che del thriller gli interessa poco (e in effetti la sua soluzione sarà piuttosto fiacca): gli premono invece i rapporti irrisolti tra gli altri protagonisti, quelli sentimentali tra Paco e Laura ma soprattutto quelli tra Paco e la famiglia di Laura, dato che dopo esserne stato un lavorante Paco comprò le loro terre a un prezzo conveniente. Questo costituì l’inizio della sua posizione di benestante vignaiolo e l’ultimo atto della decadenza economica della famiglia, con un carico di rancore pronto a riemergere prepotente. A scatenarlo è la richiesta di riscatto dei rapitori che nessuno (a parte Paco) sarebbe in grado di pagare. Nemmeno il marito di Laura, Alejandro (Ricardo Darin), che ricevuta la notizia arriva dall’Argentina: superbino, propenso ad affidarsi passivamente ai buoni uffici di Dio, discretamente disperato, economicamente e non. A spostare ulteriormente gli equilibri piomba la rivelazione di quello che tutti sanno, probabilmente da un po’ prima anche lo spettatore.
Probabilmente chiedersi in un film: e la morale qual è? può parere ad alcuni un canone superato. Di certo, però, non lo è rispetto all’approccio di Fahradi. Per questo lascia insoddisfatti che dopo la messa in scena, come suo costume, di un importante dilemma morale latiti una risposta, se non universalistica, che almeno dia meglio conto delle psicologie specifiche dei personaggi e non li riduca, salvo uno, a un branco di stronzoni. Dopo un crescendo di tensione tutto svanisce un po’ velocemente, e anche questo contribuisce (in uno con la sceneggiatura, non certo all’altezza di Fahradi) a erigere una finale, sorprendente distanza emotiva per lo spettatore. Né per coinvolgerlo sino in fondo basta che Penelope Cruz si faccia venire la congiuntivite a furia di piangere.
Everybody knows
Asghar Farhadi
Cliccate qui per leggere la recensione del precedente film di Asghar Faradi, Il cliente
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