Recensione del film “Ottobre” di Ejzenstejn

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Gli anni trascorsi dalla Rivoluzione Russa sono cento, quelli che ci separano dai film che il governo russo commissionò per celebrarla nel suo decennale sono novanta. Fatta eccezione per uno, “Ottobre” di Ejzenstein, che uscì con un anno di ritardo, nel 1928. La ragione fu l’ampio rimaneggiamento della pellicola, considerata troppo sperimentale ed estetica per assolvere agli scopi e infine purgata di un ora e mezza di scene e del personaggio di Trockij, caduto in disgrazia presso Stalin e rimosso anche delle fotografie in cui posava a fianco del dittatore. L’episodio segnò il declino del grande regista presso il governo, e questa circostanza induce per lo più gli ammiratori postumi di Ejzenstein a sottacere, o quasi, quanto il film fosse un’opera di propaganda politica, del regime prima che dell’idea. Del resto, l’ultima azione filmata riguarda la promulgazione del decreto che assegnava le terre ai contadini: quando il film usciva però le terre erano state collettivizzate e il massacro dei kulaki (i piccoli proprietari che avevano beneficiato del decreto) in pieno svolgimento. Se in un suo scritto su Manet il coltissimo Ejzenstejn aveva osservato che “sulla tela non c’è posto per due padroni” riferendosi al colore e alla linea, sullo schermo egli accettò di condividere il suo sperimentalismo artistico con una bolsa retorica al servizio del potere. Tuttavia Ejzenstein era un socialista idealista che credeva profondamente nella rivoluzione (ed è comprensibile che così fosse nel 1927, nonostante i segnali di smembramento della partecipazione popolare fossero a uno stadio più che avanzato) ed ebbe il merito di realizzare quel collettivismo che la dittatura aveva già soffocato, presentando un film senza protagonisti (salvo quello negativo, Kerenskij), un “uno vale uno” nel quale anche Lenin viene cinematograficamente declassato allo stesso rango di un operaio o un marinaio della Kronstadt. Oltre le sue intenzioni, inoltre, il film, visto a distanza di cento anni evoca delle masse, ancor più che la dirompente forza rivoluzionaria, la plasmabilità da parte dei retori, quasi come un documentario dell’Istituto Luce.

 

Quel che non appare mai scalfito dalla retorica, comunque, sono i volti degli attori, che Ejzenstein reclutò davvero tra gli operai e l’Armata Rossa. E’ quest’aspetto il punto di congiunzione tra la parte ideologicamente più nobile del film e la sua struttura cinematografica, sulla quale a ragion veduta sono stati scritti fiumi d’inchiostro, collocando le invenzioni geniali di Ejzenstejn tra i picchi più alti mai raggiunti dal cinema. In particolare il suo posto nel pantheon è legato alla non ortodossia del montaggio,  che doveva procedere per attrazioni intellettuali. Infatti, il montaggio canonico utilizza tutti i mezzi possibili per non rendere percepibile allo spettatore il passaggio di scena mentre tesse la continuità del filo narrativo. Ejzenstejn, al contrario, teorizza che il susseguirsi delle immagini serva a rappresentare non significato ma senso. Tocca allo spettatore, sollecitato nel suo intero apparato psichico, completare il messaggio che suscita la frizione di due immagini apparentemente non collegate (“”Non è il comportamento dell’oggetto ma il comportamento di chi guarda a rappresentare”). Così, in Ottobre, che Kerenskij sia un velleitario vanitoso è “spiegato” dalle sequenza Kerenskij/ busto di Napoleone, Kerenskij/pavone, Kerenskij/soldatini di stagno, invece che da sue azioni o di azioni altrui inerenti alla trama. Refrattario all’obbligo realistico, rispetto al quale il cinema doveva essere una liberazione, il regista russo non esitava neppure, in nome della ricerca di “senso”, a  invertire la sequenza cronologica di una stessa azione, ad esempio mostrando prima l’inquadratura con la porta che si chiude e poi quella con la persona che la sta aprendo per varcarne la soglia.

 

E’ evidente come, nella prospettiva di Ejzenstejn, non si sarebbe rivelata tradita solo la Rivoluzione Russa ma pure la potenza espressiva del cinema che, in buona parte, si sarebbe accomodata su canoni non così inconfortevoli per lo spettatore, che del resto Ejzenstein aveva maturato attingendo all’estetica letteraria di Joyce, con il quale strinse una relazione epistolare e di reciproca ammirazione. Se oggi vogliamo cercare dove ha messo radici Ejzenstein dobbiamo rivolgerci piuttosto alla video arte o persino ai videoclip.

 

Ottobre

Ejzenstein

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:35+01:0027 Ottobre 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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