Nessun musicista ha saputo tanto efficacemente trasportare il suo bagaglio nella multimedialità dell’arte contemporanea come Laurie Anderson. E tuttavia la settantasettenne vedova di Lou Reed è perfettamente in grado di organizzare i materiali in modo coinvolgente per il puro ascolto, come del resto accade per le opere liriche, godibili anche se prive della visione teatrale.
Così è per il concept album Amelia, un biopic sonoro sulla prima trasvolatrice della storia, Amelia Eerhart, che nel 1937 cercò di circumnavigare tutta la terra con il suo aereo, inabissandosi tuttavia nel Pacifico dopo 22.000 miglia di volo. Anderson, in spoken word (qui non canta mai, ma il suo parlato è davvero affascinante), ne ripercorre le tappe in brani di pochi minuti ognuno ricostruente una meta con ispirato arrangiamento. Si serve dei diari e di altri testi dell’aviatrice, riadattandoli in modo da fare della vicenda personale una dolente riflessione sulla condizione umana. La musica vive più sulle splendide melodie degli archi che sullo sfondo elettronico, soppiantato da un costante ma sommesso rombo d’aereo. L’ascolto, specie col trascorrere dei brani, risulta più immediato e gratificante di quel che la complessità della struttura lascerebbe presupporre, e in cinque pezzi si appoggia sulla proteiforme voce di Anohni(quello che si chiamava Anthony and Johnson quando non aveva ancora proceduto alla sua transazione sessuale ma soprattutto quando la sua musica era interessante). Amelia, nella categoria “ruggiti dei vecchi leoni”, compensa la delusione dell’uscita di Nick Cave (Wild God), purtroppo il disco più fiacco della sua fantastica carriera. Mai il rocker australiano era stato tanto positivo nell’umore, e se da un lato ce ne si compiace per lui che merita ogni bene per la sua profonda umanità, dall’altro si deve constatare che tale mood per nulla ha giovato alla sua musica, avvolta da insolite e irritanti melasse che mandano a vuoto l’impatto della sua di solito straziante ugola.
E uscire dalle consuetudini e assaggiare un disco di autentica musica tradizionale indiana? Se la prospettiva non vi spaventa non perdete questo treno: Breathing Raga di Niloy Ahsan. Si tratta di un cantante di druphad, stile monodico con una linea melodica, un’infinità di ornamenti e una ricca improvvisazione. Le canzoni del disco sono Raag Bhairav, raga mattutini che rappresentano l’atmosfera ancora intorpidita dell’alba. Ovviamente si possono tranquillamente ignorare simili cognizioni e solo lasciarsi cullare dai vocalizzi ipnotici di Ahsan, con accompagnamento di drone e l’aggiunta di percussione nella seconda metà. I più volenterosi possono accoppiarvi una sessione di yoga.
Al Danish String Quartet, per ECM, dobbiamo una deliziosa raccolta di folk nordeuropeo intinta negli archi. Avendoli colpevolmente trascurati nel loro ventennale passato ho recuperato velocemente tutto l’ascolto precedente: segnalo in particolare, nella serie Prisma articolata in cinque dischi, gli ultimi quartetti di Beethoven – originalmente proposti in continuità con Bach – e quartetti di Nielsen, forse la migliore esecuzione in assoluto. Quel che è incantevole avvicinandosi al folk scandinavo è che, con riguardo a certe epoche, vi è una simbiosi con quello irlandese. In termini storici non è sorprendente, ma in prima battuta non ce lo si aspetta. Già nel 2017 il quartetto aveva proposto Last Lief, recupero di materiale folclorico, con un adattamento più nettamente di musica classica e un insieme più solido. La fresca uscita, Keel Road, è più sbarazzina e con atmosfere da pub o riunione intorno al fuoco. Rischia di indurre un senso di sazia uniformità ed è preferibile dividerlo in due session di ascolto, paradossalmente più dei due spigolosetti dischi che ho consigliato prima. Come bonus track del folk scandinavo vi segnalo anche l’uscita del polistrumentista finlandese Lassi Logren, Jouhikko (che è il nome di uno strumento tradizionale).
La soprano Veronique Gens ha vinto nel 2023 il Premio Artista dell’Anno della rivista Gramophone. La sua carriera ruota ormai intorno alla lirica francese, non tanto il primo amore Rameau, ma i romantici (personalmente l’ho scoperta molti anni fa con un’ineguagliabile versione de L’enfance du Christ di Berlioz) o i loro immediati successori. Tra i suoi dischi ci sono spesso belle trovate, tipo nel 2022 Rivals una serie di duetti con Sandrine Piau fra personaggi femminili d’opera antagonisti. Paysage è una fresca collezione di liriche per orchestra – quella della Radio di Monaco diretta da Hervè Niquet – che non chiama in causa i compositori maggiori (manca Berlioz, di Massenet ci sono due magnifiche brevi brani non cantati) ma comprimari ingiustamente dimenticati, specialmente Theodore Dubois che fa la parte del leone. Tra i grandi soprani Veronique Gens ha la prerogativa di non lanciare mai troppo oltre l’acuto, oltre che per rispetto del repertorio per autolimitazione che pone in primo piano la tenera soavità del canto. Per questo penso che il disco possa essere apprezzato anche dai non melomani.
È un po’ di tempo che la gran parte del post-bop accusa una certa stanca e si appiattisce su schemi consolidati. Un rimedio? Tornare al pre, ovvero al be-bop. Non è necessario ripescare un vinile dalla vecchia collezione. Il pianista Bill Charlap suona ai giorni nostri dentro una macchina del tempo. È un superbo esecutore e coloritore di standard, dallo swing fluido, non banale nell’improvvisazione, nitido nel timbro e sorprendente nelle accelerazioni. L’ultima uscita del suo trio con Peter e Kenny Washington, per Blue Note, è il live And Then Again. Round Midight e In Your Own Sweet Way non si finirebbe mai di ascoltarli
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
Fra i caratteri distintivi dell’umanità vi è la tendenza a evitare la ripetizione, privilegiando l’innovazione creativa e ciò che è differente. A uno sguardo più attento, però, fenomeni e comportamenti ricorsivi risultano prepotentemente insediati nei fondamenti delle nostre vite, e non solo perché rimaniamo incatenati ai vincoli della natura. Come le stagioni e le strutture organiche nell’evoluzione, si ripetono anche i cicli storici e quelli economici, i miti e i riti, le rime in poesia, i meme su Internet e le calunnie in politica. Su concetti e comportamenti reiterati si basano l’apprendimento e la persuasione, ma anche la coazione a ripetere e altre manifestazioni disfunzionali. Con brillante sagacia, Remo Bassetti affronta un concetto finora trascurato, scandagliandolo nei vari campi del sapere, fra antropologia, letteratura e cinema, per dipingere un affresco curioso di grande ispirazione. Da Kierkegaard almachine learning, dai barattoli di Warhol ai serial killer, dai déjà vu fino alla routine, questo libro offre un’analisi profonda della variegata fenomenologia della ripetizione nel mondo moderno, sia nelle forme minacciose e patologiche sia in quelle che invece assicurano conforto, godimento e, persino, libertà.
Quanto siamo ripetitivi
Volevo fare un piccolo regalo ai lettori del wrog, in questa Pasqua tanto strana. Così ho pensato di raccogliere in un eBook tutte le recensioni cinematografiche scritte in oltre tre anni.
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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate pasquali, e auguri.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
Fra i caratteri distintivi dell’umanità vi è la tendenza a evitare la ripetizione, privilegiando l’innovazione creativa e ciò che è differente. A uno sguardo più attento, però, fenomeni e comportamenti ricorsivi risultano prepotentemente insediati nei fondamenti delle nostre vite, e non solo perché rimaniamo incatenati ai vincoli della natura. Come le stagioni e le strutture organiche nell’evoluzione, si ripetono anche i cicli storici e quelli economici, i miti e i riti, le rime in poesia, i meme su Internet e le calunnie in politica. Su concetti e comportamenti reiterati si basano l’apprendimento e la persuasione, ma anche la coazione a ripetere e altre manifestazioni disfunzionali. Con brillante sagacia, Remo Bassetti affronta un concetto finora trascurato, scandagliandolo nei vari campi del sapere, fra antropologia, letteratura e cinema, per dipingere un affresco curioso di grande ispirazione. Da Kierkegaard almachine learning, dai barattoli di Warhol ai serial killer, dai déjà vu fino alla routine, questo libro offre un’analisi profonda della variegata fenomenologia della ripetizione nel mondo moderno, sia nelle forme minacciose e patologiche sia in quelle che invece assicurano conforto, godimento e, persino, libertà.
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