Mimmo Polzella, barbiere.
Via Principe Amedeo 29/A, Torino.
Nell’infinita elaborazione del lutto Fiat, Torino sta cercando di rinnovare la propria identità puntando su una dimensione turistica internazionale e sulla cultura.
I segnali provengono talvolta dalle fonti più inattese. In via Principe Amedeo, Piero’s, un piccolo locale le cui specialità sono la pizza al padellino e la farinata, e che segna l’ora per i residenti con la sua immancabile abbassata di serranda alle ventitre e quaranta, ha avuto un’intuizione geniale, anticipando tutti i concorrenti. Ha collocato all’esterno una lavagna con sopra scritte in inglese un paio di questioni essenziali, tipo che si mangia bene e che si inforna la pizza. Tanto è bastato per trasformare nel giro di un paio d’anni Piero’s da simpatico ritrovo per abitudinari di quartiere nell’aeroporto di Francoforte, per quanto multipli sono gli idiomi internazionali che si colgono passando davanti alla veranda (da poco chiusa per la stagione) dove i clienti commentano con soddisfazione il pasto o le meraviglie della giornata. Può sembrare strano, eppure è così: Torino ha capacità di innovazione se si tratta di pensare in grande però si aggrappa al conservatorismo sabaudo sulle piccole cose. In città è già tanto se i menu adesso sono tutti all’esterno, per scriverli in inglese c’è ancora tempo.
E’ appena a lato di Piero’s, però, che sfavilla l’altra speranza di Torino, la cultura. Non di fronte, dove la Fondazione Einaudi conduce una vita pubblica piuttosto stentata. A lato. Cosa ci sarà mai? Ebbene, c’è Mimmo Polzella, un barbiere. E quale meriti da ascrivere alla cultura può avere un barbiere? Non è quella bottega, all’inverso, un luogo dove per tradizione si sprofonda nei pettegolezzi più linguacciuti oppure si rimane muti e pensosi lasciando che il silenzio sia rotto solo dal becchettio della forbice?
In questo caso no. Che sia un posto speciale lo si capisce al primo sguardo. Pochi metri quadri e tre poltrone ma qualche sofisticato dettaglio d’architetto d’interni, una nostalgica fila di poltroncine da cinema per l’attesa, una libreria (proprio così, una libreria) votata per lo più alla saggistica. Di barbieri all’antica, in città, ne sono rimasti pochi: uno degli ultimi lo rammento, una ventina d’anni fa, che quasi mi affogava spingendomi il cranio nel lavandino per lo shampoo, non potendosi permettere il lavatesta posteriore.
Vicino Polzella, in quattro o cinque isolati, si sono accumulati in pochi anni sale fashion di coiffeur, una schiera, come se in via Principe Amedeo abitasse l’intera progenie di Dalila, che va a sistemarsi l’acconciatura e con l’occasione porta Sansone a darsi una spuntata. Ma questo tipo di mobilità non ha mai scalfito la clientela, del resto solo maschile, di Polzella. Ricca di personalità di spessore politico ma anche dalla capigliatura indocile, come gli ultimi due sindaci maschi, Chiamparino e Fassino, che già è una prova di senso civico provare a metterli in riga (i loro capelli).
In questi 45 anni (gli ultimi con il figlio che lo affianca) Polzella, che neppure un giorno rinuncia all’abito scuro e alla cravatta, si è divertito a fare della sua bottega un luogo di chiacchiera politica e un delizioso spazio espositivo, come con la mostra di un annetto fa dove sfoggiava rasoi, pennelli, antiche lozioni e cimeli vari. Ora ha deciso di superarsi e ha portato Luciano Violante e Armando Spataro a dibattere da lui la riforma costituzionale, giovedì 3 novembre. E a luglio Zagrebelsky, assai prima che da Mentana, da Polzella era andato a esporre le sue ragioni, a confronto con Salvadori e moderato dal direttore di Repubblica Mario Calabresi. Una piccola folla (predominanza maschile) sempre arriva oltre il marciapiede.
Un barbiere dovrebbe essere recensito per come taglia i capelli, e io non sarei in grado di farlo in questo caso per mancanza di esperienza diretta. Ma certo nemmeno Habermas poteva sognare che la formazione dell’opinione pubblica borghese, così declinante ai nostri tempi, potesse rivivere nella bottega di una barbiere. Dieci cento, mille Polzella allora. Se ciascuno prestasse i suoi spazi per far discutere seriamente di politica vivremmo effettivamente in una democrazia.
Poi, certo, ancora più scenica la situazione sarebbe stata se uno fra i partecipanti, a chiusura dell’argomentazione referendaria, si fosse platealmente rivolto a Polzella con le stesse parole finali che pronuncia il protagonista del romanzo Storia dei capelli, dell’argentino Alan Pauls: “Rapami! Ma i capelli non buttarli. Me li porto via”. Forse Zagrebelsky lo ha fatto. Però diversi anni fa.
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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