Recensione del film
Nella parte finale di Cuori puri c’è una lunga scena di sesso tardo-adolescenziale che comprende tutto, fino al punto da passare, quasi protettiva, sopra quei due corpi nudi: il pudore, l’abbandono, il desiderio, la violenza, la tenerezza, la scoperta, la vergogna. Raramente, come in questa love story borgatara, l’amore si confessa brutale composizione chimica, senza che questo ne sposti di una virgola lo struggente lirismo.
Nella bellissima opera prima di Roberto De Paolis, presentata a Cannes, i protagonisti Agnese (Selene Caramazza) e Stefano (Simone Liberati) hanno nulla in comune se non l’intimo richiamo di un’autenticità idealistica che cerca di sottrarsi agli obblighi dettati dal rispettivo ambiente. Stefano ha due genitori orribili e nullafacenti, custodisce il parcheggio di un centro commerciale specialmente dagli assedi del contiguo campo rom, è sottoposto ai tentativi di risucchio (onesti, a modo loro) del suo amico spacciatore. Agnese, che ai rom porta abiti e palloni, è schiavizzata da un’odiosa madre bigotta (tanto più odiosa quanto più è sinceramente amorevole con la figlia) che cerca di spingerla verso la promessa di castità perorata da un parroco infervorato dentro un repressivo gruppo cattolico, e che però è capace di metafore plebee e fulminanti (Gesù è come un navigatore: non è che se sbagli strada te dice o’ va morì ammazzato, t’avevo detto a destra, no, Gesù è come il navigatore, dice; ricalcolo, e ti riporta a casa), pur sempre un’ancora di salvezza nel rampicante vuoto di periferia. Sia Agnese che Stefano hanno un codice morale fortissimo, solo che ancora non sanno qual è. Sanno che c’è da qualche parte, e che non combacia con la corrente che pretende di ammaestrarli. Sono cuori puri, di quella purezza che si sottrae alla levigazione e diffida di ciò che è estraneo, e però appena allenta i controlli cade vittima della sua fascinazione.
Il linguaggio filmico è travolgente, diretto e personale (i fratelli Dardenne sono un modello, ma sul quale edificare). Camera a mano, primi e primissimi piani, felice uso dello sfuocato, ripetizioni tematiche, nervoso montaggio alternato. Spesso il volto scorniciato dell’inquadratura è quello di chi ascolta, e l’accorgimento ha il pregio di moltiplicare l’effetto delle parole che gli si rovesciano addosso. Il progetto alle spalle è di una serietà esemplare, introdotto da uno studio dell’ambiente da parte dei personaggi che lo hanno frequentato per ben quattro anni. La sceneggiatura scabra, senza un solo colpo a vuoto, la recitazione superbo melting pot di attoriale e amatoriale, i due protagonisti (specie Liberati, espressivamente più ricco) destinati a una grande carriera. Assai più della letteratura, il cinema neo-neorealista nazionale si dimostra in grado di esplorare le sacche sociali andando oltre la masturbazione della frustrazione piccolo-borghese, senza però cadere nei clichè vieti e patetici dello sguardo verso l’emarginazione, qui restituita in tutta la sua vitalità, confusa, distruttiva, schietta e senza futuro.
Regista Roberto De Paolis
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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