Recensione del film “Parthenope”

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In una recente intervista Sorrentino ha teorizzato il valore della noia. Non direi che in Parthenope sia passato alla pratica. Premesso che bisogna essere amanti delle sfumature del mezzo cinematografico, Parthenope risulta piuttosto divertente. Si tratta in effetti di una wunderkammer, una stordente raccolta di pure immagini d’arte pittorica, aforismi fulminanti, musiche che cadono a pennello, trovate spassose. Purtroppo, come nelle wunderkammer, la ricerca ossessiva dello stupefacente e del barocco apre la soglia a ingressi indiscriminati e poco selettivi, scivolando sovente nell’insulso. Chi gradisce la lentezza, inoltre, dovrà ammettere che essa è cosa diversa dal ridondante (che qui, appunto, ridonda). E non ermetica, ma banale è la traccia tematica del film, pretestuosa quanto presuntuosa, di creare una qualche forma di assonanza, non solo onomastica, fra la città indolente e indocile e la bella ragazza, figlia di un armatore, che vi nasce nel 1960 e della quale seguiamo le peripezie, non proprio da tragedia greca (e solo a tratti da degna commedia).

La prima sequenza è da fuoriclasse (e per carità, non rimarrà affatto l’unica), una carrozza reale in arrivo su una barca per celebrare l’imminente nascita, che poi avverrà in acqua, un altro spezzone principesco di cinema. Già nelle scene successive, che immediatamente balzano ai diciotto anni di Parthenope, si avverte tuttavia una greve convenzionalità, e di là si procede per alti e bassi, senza che mai tre minuti trascorrano senza la perla di un’inquadratura o di un’intuizione. Però passano gli anni, a un certo punto quaranta di botto (Stefania Sandrelli prede un attimo il posto di una comunicativa ma non così cangiante Celeste Della Porta) e ‘sta vita non trova il porto di attracco che la discendenza a(r)matoriale esigerebbe. Parthenope guarda, e viene guardata. In questo film, devo dire, tutti guardano con aria supponente, Parhenope e quelli che la guardano, proprio con quell’intarsio sopracciglio/zigomo/labbro che lascia intendere: Eh, tu mi non fai fesso! Io s’ cchiu sfaccimm’ e’ te. Arricuordate che quann tu arrubbave io ggià steve n’galera (lo giuro, proprio tutti!  Ma un film su Napoli, dai come puoi fare diverso!). Parthenope un poco provoca e un poco fa la ritrosa, in questo suo inesausto percorso di formazione. Attraversa un drammone familiare e però Sorrentino ha raffreddato l’atmosfera a sufficienza per rendercelo, neppure indolore ma noioso (e sì che in passato sapeva commuovere). Parthenope si laurea in antropologia anche se non ha capito bene in cosa consista, l’antropologia, e lo domanda indefessamente al professore (Silvio Orlando) fino a ricevere il penato verdetto: è vedere! Capito? Vedere! Mi piacerebbe dire che l’ermetismo di Sorrentino ci fa arrovellare nell’esegesi. Invece è proprio che se lo diceva veramente un docente di antropologia provavamo pena. Ma non pensando questo è tocco, eh? Pensando, Gesù (a Napoli sempre siamo. Gesù) ma chisto a’ ritt’ proprio ‘na banalità!

Molti amici, soggiogati dal carisma di Sorrentino e ai quali il film non era dispiaciuto, mi dicevano, prima che lo andassi a vedere: sono proprio curioso di sentire che ne dice un napoletano. E che ne devo dire? Certo, a carrellata passa tutto, la camorra nei quartieri, la borghesia querula e strafottente, quattro mazzate fuori all’università negli anni settanta, Achille Lauro, le mollezze di Capri, il bordello per festeggiare lo scudetto, o’ miracolo ‘e San Gennaro, Sofia Loren, fujtevenne (il consiglio di Eduardo ai giovani di piantare la città) o’ sole, o’ mare ( ‘a pizza, a verità, nun l’aggio vista e mi pare manco o ccafè! Basta coi luoghi comuni! A pizza non a’ vogl’ mettere, ha pensato Sorrentino). Vooott a’ pasta, vooott’…ma ‘o vero vulimmo ricere che basta per andare in scia a Ferito a morte, a La Capria, a Ermanno Rea…o veramente vulimmo fa avotà e muorte rint’e ttombe…(che poi, secondo me,  a Sorrentino neppure gliene fotte. Ogni tanto si gira verso l’entourage e chiede: che dite, sono stato abbastanza felliniano? Uguale, uguale. gli ribattono. E tengono pure ragione, in certi momenti è quasi un calco, il che oltre un certo limite diventa un problema).

Per la metà del film, Sorrentino fa sequestrare la pellicola da interpreti potenti e personaggi suggestivi, che poi spariscono finito il loro numero. Sapete quale paragone mi è venuto in mente? La vecchia trasmissione radiofonica Alto Gradimento che Arbore e Boncompagni resero memorabile grazie soprattutto ai monologhi di strampalati ed estemporanei protagonisti. Per me è un complimento, perché era una trasmissione intelligente, irriverente e divertente: ma non so se aderire al modello di un’infilata di gag soddisfi il canone di un’opera filmica.

Che le idee manchino non si può dire, ma a Sorrentino vengono tutte a noia troppo velocemente e la ricercata discrasia tra irrilevante e decisivo (cit.) si smarrisce in un caleidoscopio autoparodistico di cui egli stesso perde la cognizione. Cosa preferisci in una donna? chieda da semispogliata Parthenope al demoniaco monsignore interpretato da Peppe Lanzetta. La schiena. Il resto è solo pornografia. Girate la domanda a Sorrentino, cambiando la parola donna con film e la risposta (almeno in questo momento) sarebbe la stessa.

Parthenope

Nuvola

Di |2024-12-06T16:52:57+01:0029 Novembre 2024|3, Il Nuovo Giudizio Universale|

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