Se vi trovate casualmente a una cena cui partecipa un ex grand’uomo incappato nel declino fisico e nella depressione o in entrambe, guardatevi dal sedergli vicino, perché alto è il rischio di incappare in un trombone che scolpisce per tutto il tempo la scultura di se stesso.
Nulla potrebbe essere più lontano dallo spirito con cui Pedro Almodovar si mette in scena in un film intimo che manco pare almodovariano per l’insolita sobrietà e mestizia. Forse non colpirebbe così tanto, Dolor y Gloria, se non si sapesse che è autobiografico: ma questa considerazione, che potrebbe suonare come enunciazione di un difetto, esprime piuttosto una virtù, perché tutto avviene senza concessione a voyeurismo, autocompiacimento, autocommiserazione. Se di un altro auto dobbiamo parlare (scusate l’inquinante abuso), diciamo che raramente si è assistito (e di rado si è letta) un’autofinzione tanto delicata e sommessamente sincera. E se poi le cose non stanno come la ha messe nel film, beh, vuol dire che ci ha abilmente fottuti tutti, e tanto di cappello lo stesso. A pensare che non meritasse la Palma d’Oro, pare sia stata solo la giuria di Cannes.
Il suo alter ego nella storia è il regista Salvador Mallo, prostrato da una serie sfiancante di dolori fisici trasfigurati in un profondo malessere – e raffigurati da Almodovar in una spettacolare mappatura iniziale – interiore e nella dichiarata incapacità (“fare il regista è un mestiere fisico”) di tornare a dirigere un film. Allontanatosi dal pubblico, Salvador pare pronto fare un’eccezione per la celebrazione di “Sabor”, una sua opera di 32 anni prima, e per l’occasione va a fare pace con Alberto, l’attore che interpretava la pellicola, con il quale aveva bruscamente interrotto le relazioni, insoddisfatto della sua prova recitativa appesantita dall’eroina. Alberto lo persuade a cedergli i diritti di un suo testo autobiografico inedito per il teatro. Per la verità è un testo infimo e puerile, e la sua declamazione si rivelerà l’unica caduta del film, ma non è quanto qui ci interessa. “Verrai a vedermi?” gli chiede l’attore. “No. Se non mi piacesse come lo interpreti ci resterei male. E se mi piacesse ci resterei peggio”. Questa sintetica confessione di quanto sia rischioso interiormente da parte di un uomo di spettacolo affidare la mediazione di se stesso a un altro uomo di spettacolo è un rimando in diretta dentro quel gioco di rimandi che è tutto Dolor y Gloria. Nella parte di Salvador c’è il quarantennale amico di Almodovar, un Antonio Banderas speculare anche per l’acquisita consapevolezza del dolore e della paura della morte (ebbe un infarto due anni fa) e per come esce rigenerato, anzi ingigantito, artisticamente da questa prova superba.
Nel film c’è anche un altro scambio tra Salvador e Alberto, l’iniziazione all’eroina, che accentua la deriva di Salvador ma ne facilita l’immersione nei ricordi d’infanzia. Dolor y gloria pencola con mirabile naturalezza tra i primi anni di Salvador, la povertà familiare, il precoce trasporto per la lettura, la scoperta dell’omosessualità e il presente focalizzato su un corpo che si mette di traverso rispetto al desiderio. Venendo da una fresca rilettura degli ultimi libri di Philip Roth, che pure mettono a nudo il corpo che invecchia, non ho potuto fare meno di accostarli, e però nel corpo di Salvador è assente quella millanteria che nei personaggi di Roth pretende di allontanare il vuoto. Ovviamente, però, il confronto diretto è con l’omologo Otto e mezzo di Fellini, omaggiato anche in alcune citazioni sceniche.
Salvador la sua voglia di vivere la ritrova incontrando il grande amore della sua vita, che per caso era entrato a vedere lo spettacolo recitato da Alberto e si era presentato a lui. Ma non è il caso di affollare il taccuino per dire che succede questo o quell’altro, perché c’è tanto quotidiano e zero epico. Conta il modo in cui lo si dice, e Almodovar/Banderas lo dice benissimo e a bassa voce. Se capitate a quella cena sedetevi assolutamente vicino a lui.
Dolor y gloria
Pedro Almodovar
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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