Tornerà pure sugli stessi temi, e anche sugli stessi titoli (Crimes of the future già si chiamava un suo film del 1970) ma quanto ancora ha da raccontare, inventare, mostrare l’ottantenne David Cronenberg! Dopo otto anni di silenzio, con Crimes of the future si dovrebbe dire, in prima battuta, che il regista torna al body horror, che aveva inaugurato e poi accantonato: ma l’etichetta sta stretta.
In un imprecisato futuro la specie umana, mentre subisce mutazioni genetiche di natura tumorale, ha perso l’attitudine a provare dolore fisico. Saul Tenser (Viggo Mortensen, ora in scabra e scavata postura operatoria o convalescenziale, ora per intero avvolto in tenuta da passeggio tolkieniana), artista contemporaneo, sviluppa continuamente nuove escrescenze, forse per volontaria somatizzazione, e con la partnership della compagna ed ex chirurga Caprice (Léa Seydoux) le performa dinanzi al pubblico estasiato, facendosi incidere l’addome per estrarle dopo che sono state tatuate. Una forma di ribellione agli effetti che l’evoluzione produce sui corpi e un accomodamento con la tecnologia: Tenser la usa in larga scala, oltre che per la pratica artistica, anche per svolgere le funzioni vitali che l’anarchia organica compromette ma che i letti e le poltrone, attrezzi diciamo così di ergonomia dinamica e prodotti dalla meritoria società LifeFormWear, in qualche modo preservano.
Le posizioni pubbliche sono sfaccettate. Tenser, in modo che il deposito gli valga da brevetto, va a registrare i suoi organi presso un apposito, decadente e di dubbio inquadramento ufficio governativo, dove lavorano solo due soggetti facili alla sollecitazione pulsionale, e una è Timlin, una Kristen Stewart, più agitata, ossessiva e insistente di quando, in Twilight, voleva diventare un vampiro, e che rivolge a Tenser una delle domande-chiave del film (e la rivolge come lo studente che compiaciuto la sta affermando): “Vero che la chirurgia è il nuovo sesso?”. Un poliziotto della Nuova Buon Costume (che si occupa dei vari traffici commessi intorno alle mutazioni), in contatto con Tenser, sprezza, ironizza, glissa, istruisce e depista. Un gruppo di resistenti ha individuato nel riciclo della plastica, intesa come sua metabolizzazione da parte degli organi digerenti umani, la soluzione alla crisi ecologica e sta riuscendo a trasmettere per discendenza genetica le modifiche chirurgiche realizzate per ottenere lo scopo: il bambino-cavia di questa sperimentazione ci introduce al film nei primi tre drammatici minuti. Dentro questi fili si intrecciano omicidi, complotti e spionaggio, che però mai assurgono a cuore del film e, anzi a essere sinceri, creano solo e inutilmente casino.
Tale febbrilità del racconto (febbrile ma non pressante ritmicamente: carico di tensione, però; Cronenberg è difficile eguagliarlo su questo piano) è dettata dall’abbondanza di materiale concettuale che il regista mette sul tavolo, come se si trattasse (e in parte forse si tratta) di compilare un catalogo riassuntivo dei suoi argomenti e della sua estetica – il corpo, la carne, la mostruosità, il voyeurismo, il sesso, la biopolitica, l’evoluzione, i limiti dell’umano entro i quali possiamo ancora considerarlo umano, il rapporto tra l’estetica e la ripugnanza – cui aggiunge un sotteso e sottile discorso sull’arte contemporanea. Film apocalittico dark alla maniera di Blade Runner, senza veicolarne l’intensità emozionale ( è volutamente raffreddante), e dal punto di vista di Cronenberg però nemmeno così apocalittico, perché trapela quell’entusiasmo estetico che, riguardo all’antropologia dell’uomo, a un certo punto tronca di netto il cavillare filosofico e ingloba l’esposizione delle frattaglie nella “bellezza interiore” (quel che intendo, mentre cito un tema del film, è che alcuni passaggi che lo spettatore può cogliere come feroci critiche alla putrefazione della civiltà, secondo me non rivestono in Cronenberg una preconcetta valenza ideologica. Ma non è che dobbiamo dargli una cattedra universitaria).
Qualcuno potrà riscontrare nei codici visuali e concettuali di questo film echi ripetitivi. Lo farebbe, del resto, anche Cronenberg, che abbonda in autocitazioni. Ma sarebbe profondamente sbagliato trarne l’idea che il regista sia superato: la questione è che viaggiava in anticipo sui tempi quarant’anni fa, e adesso si mette in pari con se stesso, e tuttavia ancora sfoggia una potenza di immagini devastante (la sceneggiatura è scarsa? Sì, ma manco li ascolterete parlare, rapiti dal magnetismo dello schermo, che le plumbee musiche elettro-tribal-industrial di Howard Shore accompagnano magnificamente). Se siete tornati dalle vacanze e non volete semplicemente vedere un film ma vedere il cinema, beh, questo è l’appuntamento giusto.
Crimes of the future
David Cronenberg
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate pasquali, e auguri.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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