No, non voglio dirlo, che Finale a sorpresa è un film esilarante, impreziosito dalla prima seria compresenza di Antonio Banderas e Penelope Cruz e che è una feroce satira dell’ambiente cinematografico e dei suoi tic. E non perché non sia tutto questo (lo è) ma perché sarebbe riduttivo. Potrebbe suggerirvi di andarlo a vedere con le aspettative sbagliate, o di mancarlo presumendolo come nulla più che un’abile operazione commerciale o un’osservazione del proprio ombelico attoriale. Invece l’opera dei due registi argentini Gaston Duprat e Mariano Cohn (con un palmares che già li pone al di sopra di ogni sospetto) offre un continuo esercizio di scintillante intelligenza, una matrioska di piani di lettura, una riflessione più generale sulla vanità e un funambolico esperimento di arte totale.
Se il buongiorno si vede dal mattino, la prima scena dispone al meglio. Un ottantenne miliardario imprenditore farmaceutico, immalinconito dalla prospettiva di essere ricordato dai posteri solo come un egoista accaparratore, si confronta con il suo segretario (nel senso che lui fa progetti random e quello prende nota, oltre a sottolineare con sottomesso stupore le curve a gomito del ragionamento) su quel che può fare per lasciare qualcosa di indimenticabile, e passa repentinamente dalla costruzione di un ponte alla realizzazione di un film. Planato su quest’ultimo, compra i diritti del libro scritto da un premio Nobel e ingaggia una regista famosa ed eccentrica (Penelope Cruz), alla quale per prima cosa chiede di raccontargli la trama, visto che non è aduso alla lettura e non si è corrotto neanche per l’occasione. Ascoltiamo (noi e il miliardario) la movimentata narrazione, che lo lascia soddisfatto per il lieto fine: ma lei avverte, non è così che finisce…e qui ci lascia sospesi. Constateremo alla fine che è il clou, del film che girano loro e di quello a cui assistiamo noi, e che coronerà mirabilmente la sua grande qualità, che consiste nella commistione di finzione e realtà, sino al punto da dimostrare che è difficile distinguerle, e tutto sommato non ne vale neanche la pena.
La regista decide di arruolare due attori, una celebrità che gira pellicole da cassetta (Antonio Banderas) e un rigoroso maestro della recitazione (Oscar Martinez, già vincitore della Coppa Volpi nel 2016 con il precedente film dei due argentini, Il cittadino illustre) che scansa ogni cedimento commerciale. La rivalità, o più esattamente l’inimicizia tra i due, non si alimenta tanto del loro differente approccio al cinema ma del fatto che ciascuno dei due, segretamente, ambirebbe ai riconoscimenti dell’altro. Ad appesantire l’atmosfera provvede il metodo di lavoro della regista per sollecitare l’immedesimazione nell’opera, che si nutre di umiliazioni inflitte, perfezionismo paranoico ed esaltazione narcisistica ed arrivista, per nulla inferiore a quelle dei due attori. La preparazione del film (anzi, la pre-preparazione, perché si svolge senza che sia stata ancora girata una sola scena) diventa una sorta di ordalia, con il finale a sorpresa che certamente si discosta e amplifica in corso d’opera rispetto quello che era scritto nel libro (e ne siamo certi, anche se non ce lo ha mai terminato di raccontare).
Le scene sono per lo più sequenze con i tre protagonisti in un ambiente, e dunque di impianto teatrale, con un decoro minimalista che in realtà richiama, cita e ricrea le performance dell’arte contemporanea (una delle più belle è lo stranito monologo rivendicativo e auto-insultante di Penelope Cruz che strozza e deforma la voce attraverso un tubo di aspirapolvere, e tranquillamente potrebbe appartenere a Marina Abramovich). Arte totale, dicevo. Finale a sorpresa, in più, ha la capacità di offrire piani di lettura a cascata: chi non arriva in profondità e si ferma al primo livello si diverte comunque; chi riesce ad addentrarsi in tutti, cogliendo spunti di filosofia estetica non velleitari, si diverte di più. Al riguardo, il massimo azzardo di Duprat e Cohn sono due scene di seguito, in cui a turno uno dei due attori dà prova della sua abilità recitativa ingannando gli altri. Quando il trucco viene rivelato, lo spettatore accorto è preso da un attimo di delusione pensando: eh, ma lo sapevo da subito che era così; e dopo si rende conto di essere stato coinvolto e partecipante in questo triplogiochismo. Tutto il film dissemina pistole di Cechov – quelle che sono state menzionate a un certo punto devono sparare per forza – e raggiunge infine un’esattezza matematica. Dentro quell’altro capolavoro che è la prova attoriale, Penelope Cruz spicca su tutti, abbandonando definitivamente lo stereotipo di una non eccellente se stessa che ha rischiato di diventare, e lascia intravedere una seconda vita artistica fertile ed entusiasmante.
Finale a sorpresa
Mariano Cohn, Gastón Duprat
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate pasquali, e auguri.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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