Recensione del film
“La felicità non è una meta da raggiungere ma una casa a cui tornare”. Questa poesia araba, citata nel finale del film “La tenerezza” è una felice scelta per riassumerlo. Il film è la descrizione di burrascosi viaggi interiori, alcuni dei quali frantumati sugli scogli del disagio e dell’insicurezza, e l’approdo desiderato è la “tenerezza” che la casa degli affetti può offrire. La tenerezza è parente della cura, è anche più folgorante, ma è un’istantanea. Qualcosa suscita tenerezza perché sa stupire, ma sa ancora stupire perché non è consueta. Per questo la tenerezza è velata dalla malinconia. Nella consapevolezza della sua contingenza ha il sapore della resa, nel momento stesso in cui accade.
E’ un bel sentimento, insomma, la tenerezza e Gianni Amelio ha un animo giusto e sensibile per raccontarla. Con le immagini, essenzialmente, ed in particolare con quella sua felice calibratura dei primi piani che trapassano sfondi sfuocati. Con la trama, la questione è più complicata, e con le sceneggiatura peggio. Forse aveva troppa premura Amelio per l’illustrazione del tema emotivo, e ha finito per comprimere pesantemente i caratteri dei personaggi, la loro credibilità d’azione, rendendo arduo il compito degli interpreti che, con l’eccezione del fantastico Renato Carpentieri, hanno finito per caricare troppo la recitazione, quasi al limite del macchiettismo.
Lorenzo, un ex avvocato partenopeo dalla dubbia carriera, fondata su una discutibile gestione dei sinistri automobilistici (a Napoli si usava dire “avvocati dei tozza tozza”, nome gergale del gioco da luna park consistente nel tamponarsi sulle vetture da giostra), vedovo, reduce da un infarto, intelligente, caustico, inacidito con il mondo e specialmente con i due figli (altra frase essenziale del film: “è successa una cosa strana: quando sono cresciuti ho smesso di amarli”), socializza amabilmente con i nuovi vicini di casa, una famigliola settentrionale con due bambini, trasferitasi per il lavoro del padre ingegnere che rivela presto un’emotività aggressiva e/o introversa inclinante alla psicopatia. La svolta della trama avviene quando, rincasando una sera, Lorenzo vede un’insolita e inquietante animazione davanti al portone. C’è stata una terribile tragedia, che accentua lo straniamento esistenziale di Lorenzo e lo spinge ad alcune condotte radicali mentre la figlia (Giovanna Mezzogiorno) ripercorre gli eventi che hanno condotto alla rottura del loro rapporto per provare a ricucirlo.
Il film, dicevo, ben sarebbe rappresentato da una suddivisione interna in titoli separati che richiamino metaforicamente la partenza, il viaggio, il ritorno. Gli ultimi venti minuti, che riguardano la figlia e il padre, sono intensi e toccanti. L’anello debole della catena è proprio la famiglia dei vicini, priva di qualsiasi verosimiglianza o scavo psicologico serio, con Elio Germano e Micaela Ramazzotti che recitano come fossero in un casting intitolato “Esagera!” e usurpano sulle locandine il ruolo di protagonista a Carpentieri. Grande assente è la città ospitante, Napoli, che viene sì tenuta lontana dagli stereotipi ma si restringe a qualche inquadratura da cartolina e per il resto evapora nell’astrattismo. Forse mai visto un film girato a Napoli dove Napoli non c’entra niente e potrebbe essere (piazze a parte) anche Berna o Katowice. Magari per qualcuno è anche un bene, ma non sono certo che fosse l’intenzione di Amelio. Che comunque, declinante o meno, Dio ce lo conservi ancora a lungo, lui e i suoi film.
La tenerezza
Gianni Amelio
Votazione finale
I Giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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