Recensione del film “L’Innocenza”

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l'innocenza

Si è dovuto attendere oltre un anno per la distribuzione in Italia dell’ultimo film di Kore-Eda, presentato a Cannes nel 2023: a mio parere la migliore fra tutte le sontuose pellicole che hanno dato lustro a questa stagione 2023 – 2024. In compenso, il titolo scelto, L’innocenza (come in Francia) è superiore all’originale Monster, perché dà conto sia del tema astratto che dei dettagli concreti.

Anche una storia ambiziosa come questa, grazie alla pulizia narrativa del maestro giapponese, si presta a essere riassunta in modo lineare. I comportamenti strani e autodistruttivi del piccolo Minato, orfano di padre, suscitano la premurosa preoccupazione della madre Saori che gli strappa infine la confessione di essere brutalizzato, fisicamente e psicologicamente dal suo maestro della quinta classe elementare, il giovane e al primo incarico Hori, già di dubbia fama tra gli alunni, che lo hanno sgamato mentre usciva da un “bar per adulti”. Saori si rivolge alla preside e al consiglio scolastico, ottenendone assai grama soddisfazione: non è che quelli non le diano ragione. Il problema è che gliene danno troppa, si profondono in scuse e costringono Hori a fare altrettanto, ma con burocratica ipocrisia, giusto per togliersi la rogna il più velocemente possibile. La preside, poi, ha appena subito il trauma di una nipote investita mortalmente per errore dal marito, ma questo non l’ha affatto addolcita, e anzi pare odiare i bambini al punto da sgambettarli mentre fa la spesa al supermercato. Saori è giustamente tignosa ma la vicenda comincia a prendere una piega intricata. Lo zimbello della classe è Yori, un delizioso compagno che assume quelle che un tempo si sarebbero definite pose da femminuccia, suscitando lo scherno crudele dei maschi, e le apparenze hanno suggerito al maestro che Minato bullizzi a sua volta  Yori, che però smentisce con sdegno. Qual è la verità?

l'innocenza

Il film è diviso in tre parti soggettive, una che segue il punto di vista della madre, una del maestro e una dei bambini. Tutti ripercorrono i medesimi eventi con informazioni ed emozioni diverse. Non potendo più imparentare Kore-Eda con Ozu, che con questo film davvero nulla ha a che vedere, la critica ha provato a richiamare il Kurosawa di Rashomon, pur esso suddiviso in tre soggettive letture dello stesso fatto. In quel caso però non esisteva una finale versione certificata, ma solo l’evidenza che la verità non esiste e ci si deve al massimo accontentare di una media delle personali e spesso opposte percezioni o falsificazioni dei protagonisti. Qui la verità esiste eccome, solo che è velata da malintesi, pregiudizi, fraintendimenti e dall’ostruzionismo del corpo docente, che non è per nulla interessato a conoscerla. Qualche anno fa, in una recensione di Affari di famiglia, ero ricorso alla nota distinzione del sociologo Tonnies fra società e comunità, osservando che Kore-Eda parteggia nettamente per la seconda, incarnandola nella famiglia quale comunione di affetti fra persone che si scelgono, e non necessariamente sono legate dal vincolo di sangue. In quell’opera, come nelle altre sue, Kore-Eda abbozza puntualmente la critica dell’istituzione, che ne L’innocenza è però più precisa, feroce e circostanziata. Direi anche più localizzata, riferendosi alla società giapponese, accusata di un formalismo ipocrita nel quale le onnipresenti e sceniche scuse sono, come obietta Saora ai docenti, “troppo facili”.

l'innocenza

Ma mentre cambia il soggetto da cui parte la prospettiva. Kore-eda modifica pure il tema del film, focalizzandolo infine su quel che ne rimane il nucleo centrale, e cioè la confusione, prima, e la presa di coscienza poi dei propri sentimenti e del proprio primo orientamento sessuale da parte di Minato: che oscilla tra un rifiuto rabbioso, evidentemente rivolto innanzi tutto verso se stesso, e lo slancio pulsionale. Un romanzo di formazione che prende una piega drammatica e un argomento delicatissimo da trattare, sopra il quale ogni secondo potrebbe piombare la parola o l’immagine sbagliata, e che Kore-Eda maneggia tuttavia con la sua formidabile sensibilità, senza un compiacimento estetico, una caduta, un eccesso, né una gratuita riduzione. Non fidandosi solo del suo innato buon sentire, il regista ha adottato una serie di accorgimenti nella fase di preparazione, come la lettura del copione da parte di associazioni di tutela dell’infanzia LGBT, o la rinuncia al suo collaudato metodo di lasciare i bambini piuttosto liberi dalla pedissequa memorizzazione del copione. In nulla ne ha negativamente risentito la spontaneità espressiva dei giovanissimi attori.

l'innocenza

Severo sulla società, Kore-eda è sempre indulgente sugli esseri umani: e così offre riscatto anche alle figure che parevano più spregevoli. Tra le innumerevoli scene coinvolgenti, a parte il finale visionario (e di nuovo: che modo perfetto di concludere!) prediligo fra tutte una scena. Non la cito direttamente ma ricorro a una citazione cinematografica: il quasi-finale del film L’eterna illusione dove due anziani – un miliardario cinico e detestato e uno spiantato militante amato da tutti – suonano insieme la fisarmonica e “sciolgono” in questo modo l’ultimo nodo narrativo. Ne L’innocenza arriva un’inattesa co-performance ai fiati e la circostanza che venga pronunciata una frase sulla felicità esattamente antitetica a quella de L’eterna illusione mi fa sospettare che la scena sia una citazione filosoficamente invertita.

La maggiore varietà di ambienti e di luce rispetto ai precedenti film di Kore-Eda regala maggiori ed eleganti movimenti della macchina. Una chicca finale è la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto. Il compositore, a causa della malattia che se l’è portato via, è riuscito in realtà a comporre solo due brani. Ma a dimostrazione della sua ineguagliabile capacità di struggere, la vecchia Aqua accompagna le ultime sequenze come se fosse stata pensata apposta trent’anni fa, e ci offre un altro motivo per portarle a lungo nel cuore.

L’innocenza

Quattro soli

Votazione finale

I giudizi

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Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

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Si salvi chi può

Fra i caratteri distintivi dell’umanità vi è la tendenza a evitare la ripetizione, privilegiando l’innovazione creativa e ciò che è differente. A uno sguardo più attento, però, fenomeni e comportamenti ricorsivi risultano prepotentemente insediati nei fondamenti delle nostre vite, e non solo perché rimaniamo incatenati ai vincoli della natura. Come le stagioni e le strutture organiche nell’evoluzione, si ripetono anche i cicli storici e quelli economici, i miti e i riti, le rime in poesia, i meme su Internet e le calunnie in politica. Su concetti e comportamenti reiterati si basano l’apprendimento e la persuasione, ma anche la coazione a ripetere e altre manifestazioni disfunzionali. Con brillante sagacia, Remo Bassetti affronta un concetto finora trascurato, scandagliandolo nei vari campi del sapere, fra antropologia, letteratura e cinema, per dipingere un affresco curioso di grande ispirazione. Da Kierkegaard almachine learning, dai barattoli di Warhol ai serial killer, dai déjà vu fino alla routine, questo libro offre un’analisi profonda della variegata fenomenologia della ripetizione nel mondo moderno, sia nelle forme minacciose e patologiche sia in quelle che invece assicurano conforto, godimento e, persino, libertà.

Quanto siamo ripetitivi

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Cercate di trarre di buono tutto quel che potete da queste giornate e auguri.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Fra i caratteri distintivi dell’umanità vi è la tendenza a evitare la ripetizione, privilegiando l’innovazione creativa e ciò che è differente. A uno sguardo più attento, però, fenomeni e comportamenti ricorsivi risultano prepotentemente insediati nei fondamenti delle nostre vite, e non solo perché rimaniamo incatenati ai vincoli della natura. Come le stagioni e le strutture organiche nell’evoluzione, si ripetono anche i cicli storici e quelli economici, i miti e i riti, le rime in poesia, i meme su Internet e le calunnie in politica. Su concetti e comportamenti reiterati si basano l’apprendimento e la persuasione, ma anche la coazione a ripetere e altre manifestazioni disfunzionali. Con brillante sagacia, Remo Bassetti affronta un concetto finora trascurato, scandagliandolo nei vari campi del sapere, fra antropologia, letteratura e cinema, per dipingere un affresco curioso di grande ispirazione. Da Kierkegaard almachine learning, dai barattoli di Warhol ai serial killer, dai déjà vu fino alla routine, questo libro offre un’analisi profonda della variegata fenomenologia della ripetizione nel mondo moderno, sia nelle forme minacciose e patologiche sia in quelle che invece assicurano conforto, godimento e, persino, libertà.

Quanto siamo ripetitivi

Di |2024-09-20T15:33:20+01:0020 Settembre 2024|2, Il Nuovo Giudizio Universale|

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