Ci sono due ingiustificate critiche che circolano verso il primo grande disco di area rock del 2019,
Assume Form di James Blake: la prima è che “assumere la forma” sia una promessa mancata perché il cantautore britannico ballonzola fra forme musicali esageratamente eterogenee;la seconda che vi sia una vena di furba ruffianeria nel convocare guests maisntream come il trapper Travis Scott e la cantante di formazione flamenco Rosalia (ce ne sarebbe anche una terza, del Guardian: che la voce di Blake sia troppo dolorosamente spleen per abbinarsi a umori estroversi come quelli dei suoi guests).
In realtà la risposta a entrambe le eccezioni è unica e articolata: la forma di Blake è proteiforme e nasce dalla frequentazione dei rapper come producer che conduce Blake verso un’assimilazione di suoni molto stratificata. Non è che andando coi rapper Blake impari a rappeggiare (anche se lo fa piuttosto bene una volta, in Where’s the catch). Il disco rimane nettamente imperniato sull’asse voce-pianoforte ma le costruisce uno sfondo ricco, delicato e cangiante che incanala anche i campionamenti acustici e gli elementi percussivi propri dell’hip-hop elettronico (c’è un uso non indifferente di 808) verso un’accogliente morbidezza che rifiuta totalmente il senso di urgenza che contraddistingue quella musica.
“Disco di area rock” è una definizione generica, ma non è semplice trovare al disco un’etichetta precisa, ciò che è un buon indice di quanto la musica di Blake sia in movimento. Sarebbe assai riduttivo classificarlo come disco pop, e stucchevole scervellarsi su di cosa sia post (post-rock? Post-dubstep? Post-RnB). Ha un’anima molto soul e passa da un decennio all’altro: molto anni ’80 Are You in Love?, molto anni ’60 Can’t Believe The Way We Flow. Blake ha ridotto l’autotoune: ma in Power On la voce si moltiplica, corregge, fugge, riecheggia. Il modo in cui Blake introduce il low-fi sulla sua voce cristallina fa l’effetto dello sfuocato dietro il primo piano cinematografico. Quando vibra, nel suo tintinnio somiglia, più di ogni altra, a quella di Anthony (adesso Anohi).
Anche se non al modo pop, Assume Form è generosamente melodico: più che un modo di ripensare le melodia, però, è un pensiero su come disturbarla per un attimo e poi ricollocarla al centro. Nonostante i numerosi riferimenti (o magari proprio per quelli) diversi brani hanno già un piede nel futuro (citerei: Into the Red e Lullaby For My Amnesiac, ma ognuno sceglierà i suoi. Don’t miss it non è originale ma è struggente). Dal presente il disco trae le tendenza a scrivere più brani, e più brevi. Che è anche una costrizione dell’ascolto digitale e tuttavia in Blake scorre con straordinaria naturalezza.
James Blake
Assume Form
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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