Recensione del libro “La più amata”
Il romanzo “La più amata” di Teresa Ciabatti funge splendidamente da spiegazione della differenza tra un libro normale e un caso letterario.Teresa Ciabatti, secondo quel che lei stessa racconta, ha al suo attivo quattro libri di cui non si è accorto nessuno, e quelli che se ne sono accorti li hanno stroncati. In “La più amata” l’autrice mette in gioco la sua biografia, la ricerca della verità su chi era il padre e l’abiura morale di quel massone, fascista, bugiardo e poco di buono. Il libro sta riscuotendo grande consenso e viene dato per favoritissimo al Premio Strega. Il dubbio è: se il personaggio fosse stato una pura invenzione sarebbe accaduto lo stesso? Il precedente negativo dei quattro libri fa propendere per la risposta negativa. Questo non è ancora un giudizio sul libro, perché non chiarisce se fossero viziate le letture degli altri libri o di quest’ultimo (volendo dare per probabile che non possa esserci una differenza tanto abissale). Certamente è una macchia sull’industria editoriale, o sulla sua poca perspicacia o sulla sua malizia o su tutte e due.
Ma questo libro? La storia è abbastanza semplice, e apparentemente riguarda Lorenzo Ciabatti, primario dell’ospedale di Orbetello, arricchitosi smisuratamente e rapidamente, abile occultatore dei suoi legami torbidi (o quando gli fa comodo abile esageratore degli stessi) e del suo cinismo, padre e marito degenere. La sua parabola discendente si svolge tra gli anni sessanta e l’inizio degli anni novanta e la sua collocazione lo porta a sfiorare eventi politici come il golpe Borghese o la P2. Ci sarebbero dunque gli strumenti per raccontare lo sfondo di quell’Italia, ma il possibile tentativo si arresta sulla soglia. C’è una soluzione editoriale sotto certi profili sconvolgente in qualche citazione storica: un asterisco che rimanda al fondo del capitolo a una concisa spiegazione del riferimento (un po’ sbrigativa: per esempio quella del golpe Borghese, testualmente coincidente con le righe iniziali di Wikipedia (!)….) Ora, gli asterischi sono abbastanza comuni nei libri tradotti, quando si è preferito riportare nella lingua originale una parola della quale presumibilmente il lettore straniero non ha cognizione. A questo dunque siamo arrivati quando in un libro si lambiscono eventi storici del nostro paese, non più distanti di cinquant’anni? Serve una mediazione culturale, come nel caso della non-traduzione? Probabilmente sì. Ma è giusto che lo scrittore si arrenda all’opportunità di rendere il libro autosufficiente nel dar conto dell’evento, una volta che lo tira in ballo?
Comunque si voglia rispondere, la questione meglio introduce all’effettivo soggetto del romanzo che non è il padre (del resto il titolo è “La più amata) ma il rapporto della Ciabatti con il padre. Meglio, l’effetto su di lei di quel rapporto (o meglio ancora dell’immaginazione infantilmente idealizzata di quel rapporto) e la presentificazione della figura paterna, che riduce tutto sommato a un inutile orpello narrativo uno scavo eccessivo rispetto a quello che eccede il disagio lasciato in eredità alla figlia. L’immagine che la scrittrice interessa lasciare non è alla fine quella decostruita e demolita del genitore, ma quella illividita sua, tant’è che la parte ormai più nota del testo è: “Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace. Voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto…”
In questi romanzi di autofiction, di cui il mercato è sempre più avido, si indica spesso, tra i fattori valoriali, lo spartiacque della sincerità, considerandola un pregio. E’ un ben strano rovesciamento della letteratura, che ha a lungo fondato la sua autorevolezza sulla capacità di rendere al meglio la finzione, insomma sulla verosimile menzogna (una questione diversa sono i reportage o l’inchiesta che siano impreziositi dallo sguardo narrativo e da una certa commistione di registri) . Ignoro quale sia qui il dosaggio vero/falso, ma è interessante percepire come il dito sia puntato verso il fattore resa dei conti nella vita reale; e come quindi il suo traino consista nel rivestire letterariamente (inteso in senso produttivo prima che estetico) questo torrente di spionaggio dei sentimenti privati nella vita reale, che dai format televisivi ha poi plasmato un segmento significativo delle conversazioni sui social media. Sotto questo profilo il libro è un documento paradigmatico tramandato ai posteri, e se la Ciabatti sia soprattutto documentarista o documentata diventa persino un dettaglio secondario.
Per rimanere fedele alla temperie che lo genera il libro non può che adottare un linguaggio semplice, che si avvantaggia di qualche gioco retorico reiterato ma di una certa efficacia ritmica. Dal punto di vista della scorrevolezza non si può negare che la Ciabatti possieda una fluidità notevole.
Dal punto di vista tematico, poi, c’è un filo, il vero filo, che è trattato in maniera psicologicamente impeccabile: il fallimento. Descritto, temuto, sospettato, vissuto, economico, interiore, relazionale. “La più amata” tira le fila di una costante bancarotta esistenziale dei protagonisti, ben individuando quell’angoscia comparativa così moderna e occidentale che spinge a comportamenti opposti come l’arroganza, l’impostura o l’auto-denigrazione. Ecco, in questa prospettiva è veramente una buona lettura.
La più amata
Teresa Ciabatti
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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