Da tempo Pedro Almodovar ha abbandonato la magniloquenza barocca nelle immagini e nella sceneggiatura per imboccare con la cinepresa una china di sobrietà quasi claustrale (salvo il gusto coloristico degli arredi in case di lusso). In questo percorso di spoliazione il tema dominante del suo cinema non è cambiato, ed è la morte. Ne La stanza accanto, Leone d’Oro al Festival di Venezia, però non è più solo lo sfondo, il destino, la catarsi o lo scandalo, ma il centro assoluto. Ispirato al romanzo di Sigrid Nunez, Attraverso la vita, il film (il primo girato in lingua americana) racconta l’incontro tra due vecchie amiche che non si vedevano da anni, la scrittrice Ingrid (Julianne Moore) e l’ex inviata di guerra Martha (Tilda Swinton), in una stanza d’ospedale perché la seconda è malata terminale di cancro. Martha non si riconosce nella dottrina che fa del paziente un ostaggio del suo corpo, un condannato a un combattimento dall’esito scontato e al quale tuttavia si deve sottomettere in nome della retorica bellicistica che metaforizza la malattia. Il suo piano è semplice: ha ottenuto una pillola per l’eutanasia sul dark web e in nome della propria dignità vuole scegliere il momento della dipartita. Ha ragionato, e chiudere definitivamente agli occhi nella propria casa – circondata dunque dai ricordi, dagli stimoli e dal senso di appartenenza alla vita – le sembra faticoso e triste. Meglio scegliere un luogo bello, immerso in un panorama che meriti la contemplazione prima del congedo, e ha anche individuato una bella villa di campagna. Solo, non le va di essere proprio da sola. Non pretende nessuno al capezzale, ma almeno sapere che è nella stanza accanto. Con la figlia è stata una madre poco presente e il rapporto conflittuale che ne è disceso la dissuade dal coinvolgerla. Ci sarebbero delle amiche più strette, e confessa a Ingrid che le ha interpellate, ma non se la sono sentita. Per questo domanda a Ingrid questo favore: in fondo condividono ricordi importanti, momenti significativi di intesa. Certo, capisce che Ingrid potrebbe avere problemi con la legge, e predisporranno una narrazione postuma che li scongiuri. Che ne dici, Ingrid? Lo puoi fare?
Poco efficace nella parte iniziale, infarcita di flashback della vita di Ingrid, e nel tentativo di creare un piccolo contorno laterale (che comprende John Turturro nella parte di un amante anticamente condiviso dalle due), La stanza accanto acquista il suo grande spessore teatralmente, nelle sfumature delle conversazioni e interazioni tra Ingrid e Martha e in quel che rivelano – di tenero, crudele, paradossale, umano troppo umano – dell’avvicinamento alla morte, per chi sta compiendo il percorso e per chi lo sta tenendo per mano: dalla perdita di interesse per l’amata lettura (che contiene sempre una proiezione immaginaria in un futuro) all’irritazione che l’accompagnatrice può arrivare a provare, in luogo del sollievo, nello scoprire che per colpa dell’amica ha frainteso un segnale e l’ha creduta già morta, disperandosene lungamente. Il film si costruisce e afferra lo spettatore su questi frammenti, e non perché introduca spunti nuovi di pensiero sull’eutanasia, oltre al fatto che la sua universalità viene limitata dal fatto che la domanda sottesa è: come puoi affrontare la morte se sei ricco sfondato? Inoltre, l’ascesi visiva di pacifico campo e controcampo cui è pervenuto Almodovar non ci preclude una cinematograficamente immortale immagine della morte; una breve sequenza pittoricamente straordinaria, l’apice dell’intero film, oltre tutto armonico con la citazione del qui citato elegiaco finale di Gente di Dublino di Joyce.
Andrò controcorrente riguardo alle attrici: mi pare che la volontà del regista di tenere un low profile nervoso abbia in certi momenti reso spaesata Julianne Moore, e che la propensione anche fisica di Tilda Swinton di essere al di là della vita e della morte non si adatti al racconto di un transito e una progressione. Dal mio punto di vista il film è toccante ma non emotivamente lancinante, come avrebbe potuto essere, senza necessariamente cadendo nel melò: forse non si deve per forza considerare un dato sfavorevole. Nell’insieme però Dolor y gloria e Madres paralelas mi sono parse opere ancora più riuscite.
La stanza accanto
Tre soli
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