Tra il 1990 e l’inizio del 2000 l’Algeria fu funestata da una guerra civile fra il governo militare e le milizie islamiche (cui era stata sottratta la vittoria elettorale nel 1992) che lasciò sul terreno 150.000 morti. L’integralismo religioso, respinto dal potere politico, conservava un ascendente in ampie frange dalla popolazione, e qualche cedevolezza dovettero manifestare anche i suoi avversari nella difficile contesa per il controllo del territorio. E’ in questo contesto, nel 1998 in particolare, che la regista algerina Mounia Meddour, giù documentarista, ambienta, “Non conosci Papicha” la sua prima opera di fiction, trovando una chiave di accesso bella e originale che concentra l’attenzione su una duplice e convergente lotta culturale, quelle riguardanti rispettivamente la sottomissione delle donne e il loro abbigliamento (e quindi unificabili nell’esercizio del potere sopra il suo corpo).
La giovanissima universitaria Nedjma- detta Papicha, traducibile come bella e attraente- coltiva il sogno di diventare stilista, si esercita smerciando i suoi capi alle amiche e addirittura manipola il tradizionale telo bianco che copre le donne algerine, l’haik, per trasformarlo in un disinibito abito alla moda. E decide, appoggiata dalle sue compagne, di organizzare nientemeno che una sfilata dentro quel collegio universitario troppo placido e alla cui mensa condiscono le pietanze con il bromuro (ma insieme all’amica prediletta ne evade per rifugiarsi in una catartica e non esageratamente trasgressiva vita notturna. Quando rientrano, sfruculeano affettuosamente l’amica di stanza, che sembra bigotta e invece ci sorprenderà). Una sfilata di moda nel paese in cui, in quel momento, indossare i jeans significa farsi chiamare prostituta, e ogni notte a fianco del collegio universitario vengono ad affiggere manifesti che esortano a indossare il burqa, è più temeraria dei cortei di questi giorni in Bielorussia, e l’iniziativa metterà a dura prova la determinazione e il coraggio di Napicha e delle sue amiche.
Questo è un vero e intelligente film femminile, e non dà mai la sensazione che il ruolo meschino assegnato a quasi tutti gli uomini sia frutto di oltranzismo gender (tra l’altro è messa in scena anche la figura poco conosciuta delle miliziane in burqa, che si muovono come energumeni). Fa impressione che la pellicola, pluripremiata in Francia, sia stata censurata in Algeria. Evidentemente non si può dire affatto reciso il legame storico con il periodo in cui è ambientato.
Il suo valore critico e sociale, tuttavia, ha reso la critica parecchio indulgente con le non poche debolezze. “Non conosci Papicha” a volte scorre troppo veloce, altre affonda nella lentezza. Il contesto storico, dopo una scena di avvio folgorante, è reso un po’ da sussidiario. Tecnicamente Mounia Meddour ha ottimi mezzi, ma troppo insistiti e ripetuti secondo pochi schemi, compreso l’uso dello sfuocato e la posizione ravvicinata della telecamera. Le scene dinamiche e affollate sono perturbanti il giusto ma non sono tante. La sceneggiatura è corretta e tuttavia la preoccupazione per il realismo ne soffoca la creatività- e cionostante qualche volta scappa di mano pure il realismo.
Però la resa emotiva dell’ambiente principale di scena, il collegio universitario, e della sua popolazione ha un’intensità eccezionale, sia quando ne cattura l’elettricità sia quando ne fa emergere la repressione o le crepe nel cameratismo che la nevrosi delle identità attaccate dal dominio maschile porta alla luce. E di Lyna Khoudri, che incendia lo schermo nell’interpretazione di Nedjma, sentiremo certo parlare a lungo.
Non conosci Papicha
Mounia Meddour Gens
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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