Evidentemente bisogna arrivare a novant’anni, quelli che aveva il regista polacco Andrzej Wajda quando nel 2016 ha girato questo film, per concepire un intarsio tanto perfetto tra la rappresentazione cruda e tragicomica di un fatto e la sua diramazione metaforica, come avviene nella seconda scena. Polonia comunista del 1948: un pittore è nella sua casa-atelier e si accinge a dipingere sulla tela bianca.L’artista in questione ha già i suoi problemi pratici per via della mutilazione di un braccio e una gamba, e si sta sforzando di concentrare l’attenzione sul colore che deve emergere dal bianco. Ma ecco che dall’esterno arrivano rumori di megafoni e fanfare e, soprattutto, un telone rosso con la foto di Stalin si solleva fino a coincidere con la finestra del pittore, lasciando l’interno buio e il bianco del foglio corrotto cromaticamente dal riflesso rosso. L’artista, furioso, si rimette in piedi con le sua stampelle e adopera una di queste per traforare il telone, quel tanto che basta per far penetrare la luce. Per i burocrati che vigilano sulla cerimonia l’incidente equivale a un attentato e due poliziotti irrompono nella casa del sovversivo trascinandolo al comando. La scena, che avrebbe già una certa potenza narrativa per chi ignora il contesto, è un grandioso crocevia di significati ed evocazioni (a proposito, quando l’artista viene portato al comando di polizia, l’avvertimento finale rivoltogli è che “si trova ormai a un crocevia”).
“Il ritratto negato” parla infatti del pittore astrattista polacco e docente all’Accademia di Belle Arti di Lodz, Wladislaw Strzeminsky (ottima l’interpretazione di Boguslaw Linda) che perseguiva e teorizzava l’innocenza dell’occhio, il valore della coscienza individuale e anzi la sua necessità per la sensibilità dell’artista, la separazione tra arte e politica. Tutte prospettive incompatibili con il realismo socialista per il quale la funzione dell’arte si esauriva nel sostegno all’indottrinamento ideologico delle masse, sradicando ogni contaminazione cosmopolitica con le forme e le idee extra-nazionali ed extra-comuniste. Così il regime prese a smantellare progressivamente la sua presenza pubblica, le sue opere e infine l’uomo, al quale sottrasse direttamente o indirettamente l’insegnamento, le committenze, l’iscrizione all’associazione degli artisti, il diritto di comprare le tempere e la tessera per acquistare i generi alimentari.
Wajda, morto poco dopo la presentazione a Toronto di questo film che esce ora nelle sale italiane, dedica questo film un po’ a se stesso, che ebbe la medesima intransigenza nella salvaguardia dell’autonomia artistica, una leggera inclinazione al formalismo, un perenne conto aperto con l’oppressione totalitaria e anche un apprendistato pittorico giovanile, prima di indirizzarsi al cinema e regalare una produzione significativa e già semi-dimenticata (parecchi film sono da tempo fuori catalogo nei dvd). “Il ritratto negato” ha tutt’altra autenticità e vigore rispetto, ad esempio, a un biopic come il recente Van Gogh di Schnabel: e si concentra su un materiale limitatissimo della vita di Strzeminski, la caduta degli ultimi quattro anni sino alla morte nel 1952, evitando di appesantirlo con i flash-back che di solito affollano i biopic, omettendo persino qualunque rivisitazione (salvo un poetico omaggio funebre nel finale) del suo legame con la moglie Katarzyna Kobro, dalla quale si separò nel 1947 e che fu a sua volta un’eccezionale scultrice. Anzi raggiunse, a mio parere, vette artistiche superiori a quelle del marito e la loro relazione meriterebbe a sua volta la penna di un narratore. Elaborarono affascinanti e complementari poetiche dell’arte: lui- alla fine degli anni Venti- quella dell’unismo, ovvero la liberazione della superficie pittorica dagli elementi simbolici e drammatici (nemesi: la sua vita terminò al contrario di quella superficie ideale) e lei quella della scultura come organizzazione dello spazio in funzione di regole matematiche che restituivano un’apertura visiva multipla dell’opera. Nello spirito delle teorie della Kobro, più che di quelle di Strzeminski, fu allestita nel museo di Lodz una memorabile “sala neoplastica”, che il regime- come ci mostra con notevole pathos il film- avrebbe provveduto a svuotare, per poi riallestirla quattro anni dopo la morte del pittore, con la de-stalinizzazione.
Negli anni descritti da “Il ritratto negato”, Strzeminski professava la teoria della visione: l’occhio che abbandona un’immagine ne trattiene una traccia, essenzialmente cromatica, che influenza la soggettività dello sguardo quando passa a quella successiva. “Immagine residua”, in polacco “Powidoki”, è in effetti il titolo originale del film in luogo della tortuosa scelta italiana (ma qual è ‘sto ritratto negato?).
“Powidoki” è ricco di scene intense, anche sentimentali nel senso più profondo, benchè la manifestazione degli affetti (gli studenti, una giovanissima e bellissima ragazza che si innamora perdutamente del pittore, la figlia) viaggi per lo più in una direzione, poiché l’unismo di Strzeminski non lo invogliava a prendersi troppa cura delle persone. La figlia, più di ogni altro ne fa le spese: è una ragazzina che, con profonda costernazione del padre, si esalta quando prende il massimo dei voti imparando a memoria le stronzate scritte sui libri di storia dal regime o marcia con uno stendardo in qualche parata, ma ha una sensibilità emotiva intensa e controllata. Se vogliamo eccepire qualcosa, la sua giudiziosità è caricata all’eccesso, e finisce per farla percepire allo spettatore più come una nana che come una bambina. I colpi al cuore, nel film, arrivano quando uno meno se li aspetta: c’è una “esecuzione” di quadri che compete emotivamente con la scena di un pestaggio a morte in un film di Kim-Ki-Duc, per quanto riesce a esprimere il carattere più selvaggio della violenza.
Wajda, a sua volta controllato nell’uso dei mezzi espressivi (ma che inquadrature magistrali, pur nella loro sobrietà!), rende con esattezza i tratti psicologici della vigliaccheria, quella crudele dei funzionari e quella impotente dei realisti che non osano deviare, neanche minimamente, il corso delle persecuzioni sotto un regime totalitario. E’ il classico film che dovrebbe far parte dei programmi di scuola. Tra i campanelli d’allarme rivolti al presente uno si potrebbe riassumere così: state in guardia quando tra coloro che esercitano un potere la quota di cretini ignoranti e frustrati è chiaramente in eccesso.
Il ritratto negato
Andrzej Wajda
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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