Quando in un film arriva la scena in cui una ragazza, che ha desiderato un certo uomo da quando era in fasce e finalmente sembrerebbe averla spuntata, esclama qualcosa come:
“Ah! Perché quel che sembrava eccezionale nel desiderio smette di entusiasmare quando lo si è ottenuto?”, ecco quando arriva quel momento, bisognerebbe avere il coraggio di alzarsi tutti insieme e uscire dal cinema. Un po’ per codardia, un po’ perché questa sublime banalità arriva intorno ai due terzi del film, che dura appena tre quarti d’ora, si rinuncia a questa protesta collettiva. Risparmiateci, per piacere, che “L’uomo fedele” intende mostrare il lato vacuo degli amori borghesi. Una frase sul desiderio come quella non disvela nulla, non fa ridere, non distrugge e non costruisce. Un po’ come tutto il film
Quasi tutto, per la verità. Perché il primo quarto d’ora ha la sua sfiziosità. Nella prima scena Marianne (Laetitia Casta) annuncia al convivente Abel che è incinta del loro comune amico Paul e in un dialogo simpaticamente stralunato lo invita anche a sloggiare perché ha già fissato le nozze con l’altro, visto che i suoceri ci tengono. Nella scena successiva, trascorsi nove anni, si vede il funerale di Paul, durante il quale Abel già medita di riabbordare Marianne. Nel primo incontro a casa, il bambino di Marianne, Joseph, cultore precoce di enigmi polizieschi, avverte Abel che è meglio si tenga alla larga, perché la mamma ha già accoppato suo padre con il veleno. Abel rimane impressionato e abbozza un’indagine personale. Nel frattempo viene avvicinato da Eve, la giovanissima sorella di Paul, che si strugge da sempre di amore di lui.
Questo passaggio chiude tutto sommato la parte interessante e lascia mano libera a una convenzionalità narrativa forzata con un paio di trovate insulse, almeno fino alla scena finale, molto bella anche se un po’ appesantita dalle scelte della macchina da presa. Ne sono protagonisti il figlio di Marianne (piuttosto bravo il piccolo Joseph Engel) e la declinazione di una difficile paternità, una della tante tracce percorribili che Louis Garrel lascia cadere, come se si fosse stufato appena dopo ogni abbozzo.
Garrel, al suo secondo film da regista, non si limita a citare e richiamare la Nouvelle Vague. Ne fa un calco fedele, troppo fedele negli umori e in certi dettagli stilistici dissonanti con l’evoluzione del cinema, e al tempo stesso troppo più fiacco dell’originale nell’osservazione sociale. Fra le zavorre di quella tradizione Garrel ci appioppa una triplice voice over ruminante pensieri intimi che i protagonisti avrebbero potuto facilmente esprimere con un sopracciglio. Il limite principale del film è questo girare a vuoto nel trovare la chiave, anche in senso formale, per parlare dei sentimenti. Forse la qualità più interessante della trama è quella di rendere quasi presente, attraverso gli altri, il convitato di pietra Paul. Quanto a Laetitia Casta, per regolarità e compassatezza, è una cicloturista della recitazione, più adatta agli spot pubblicitari.
L’uomo fedele
Louis Garrel
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
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