Riparare i viventi

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Recensione

Ci sono libri che nascono già con l’idea di essere prolungati sullo schermo. Non credo fosse il caso di “Riparare i viventi”, romanzo francese pluripremiato di Maylis de Kerangal. Il libro era, in un certo senso, la storia di un cuore, che passa da Simon, un ragazzo morto in un incidente d’auto, a Claire, la donna cui viene trapiantato.
È il seguirsi delle due vicende umane, delle quali molto più coinvolgente moralmente e struggente la prima,nella quale il medico che invita i familiari alla donazione è un eroe-sciacallo per la determinazione nell’affrontare il discorso con i genitori nel momento in cui il figlio è in coma cerebrale (emozionante il passaggio di consapevolezza espresso nel progressivo passaggio verbale, a proposito persona che ancora respira, dal presente all’imperfetto). Lo stile trovava una sua misura tra il lirismo e l’asciuttezza. “Il corpo giaceva lì indicibile, muto come uno scrigno”. Persino il linguaggio medico, tecnicamente perfetto, veniva trasfigurato in una sua cupa poeticità. Del resto, scriveva la De Kerangal “dentro l’ospedale la rianimazione è uno spazio a parte che accoglie le vite liminali, i coma opachi, le morti annunciate, ospita quei corpi al confine esatto tra la vita e la morte”.

 

La regista Katell Quillévéré era certamente tenuta, se voleva rispettare lo spirito del libro, a cercare una chiave che ne restituisse il realismo intenso e impietoso. Le prime immagini, legate al corpo di Simon che cavalca le onde col surf e dilatate nel loro prorompere fisico (un’illustrazione inutilmente eccessiva e quasi kitsch dell’imminente contrasto con l’intubazione) lasciano già presagire la difficoltà dell’impresa. La sorpresa è che da quel momento in poi la regista apparirà, all’inverso, paralizzata dal timore di suscitare l’effetto facile e piallerà le psicologie e gli eccessi di ogni personaggio, tanto essenziali nel libro, finendo per affidarsi a un realismo meccanico nel senso letterale della parola: il funzionamento e il mal funzionamento dei corpi, nonché il dettaglio chirurgico spinto sino al documentaristico e una feroce pornografia cardiaca. Non il modo migliore per riflettere sull’essenza della vita e della morte, che era l’obiettivo del libro. E solo entro certi limiti un tributo alla causa della donazione di organi.

 

“Riparare i viventi”, così, si trascina stancamente da una sequenza troppo lunga a un’altra sequenza troppo lunga, da un eccesso di primi piani a un tot di scadenti soggettive e montaggi banali, e la stessa esibizione degli attori appare frenata e prevedibile: forse con l’eccezione di Anne Dorval che è una convincente Claire e un meraviglioso, stupito volto che si risveglia, dopo il trapianto, regalando a questa fiacca pellicola almeno una chiusura onorevole.

Votazione finale

I giudizi

soli_4
Perfetto


Alla grande


Merita


Niente male


Né infamia né lode


Anche no


Da dimenticare


Terrificante

ombrelli_4
Si salvi chi può

Di |2020-09-11T15:16:54+01:003 Febbraio 2017|Il Nuovo Giudizio Universale|

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