Essere spontanei è una conquista faticosa: forse è il principale messaggio di Scompartimento n.6. La giovane finlandese Laura studia archeologia a Mosca e, mentre è ospite della docente e sua amante Irina, nel corso di un festino intellettuale viene sottoposta a una serie di domande-trabocchetto da parte degli altri giovani astanti, che mettendo a disagio lei vogliono confermare a sé stessi di essere fichi. Ma Irina ha un asso nella manica: sta per salire sulla Transiberiana, e arriverà fino all’estremo gelo dell’Artico per visitare incisioni sulla roccia preistoriche, i petroglifi. Veramente il viaggio era progettato insieme a Irina, alla quale è sopraggiunto un impegno e poi – come Laura scopre alla prima chiamata dalla cabina durante una delle soste sotto la neve – sia Laura che i petroglifi dopo poche ore sono già venuti a noia. Laura però non demorde: lo sa anche lei che il viaggio lo compie più per essere all’altezza che per passione, ma le piace raccontarselo diversamente (“solo capendo il passato possiamo capire il presente”). Prova a raccontarlo così anche al suo compagno di scompartimento, che punta la stessa destinazione per lavorare in miniera, ma quello è ben più che spigoloso: villano, volgare, alcolizzato, rattuso, sarcastico, rozzo e sprezzante. O forse no? È una posa, una posa. E se nascesse del tenero fra i due? La prospettiva tira fuori tutto il senso di inadeguatezza di quel bulletto: di nuovo un problema di spontaneità, di maschera sociale, terrore di non essere all’altezza. Ce n’è da sciogliere di ghiaccio, anche in senso letterale.
Il film del regista Juho Kuosmanen che ha ricevuto a Cannes il premio speciale della giuria, è tratto dall’omonimo romanzo di Rosa Liksom, pubblicato in Italia da Iperborea. Alla scrittrice premeva rappresentare il clima da fine impero dell’ex Unione Sovietica e la frustrazione politica conseguente, a Kuosmanen non je ne po’ fregà de meno. Il suo centro del plot sarebbe la commedia romantica, ma in realtà non è così vero. Intanto perché il mood vira lentamente e moderatamente verso la commedia, risultando a lungo piuttosto claustrofobico, a misura di scompartimento insomma. In compenso, il regista è abile a tratteggiare gli ambienti umani con poche e stilizzate caratterizzazioni e a vintagizzare quelli socio-ambientali o naturali con l’uso di quella raffinata tecnica che prevede l’uso dei 35 mm e solo dopo la digitalizzazione. Per provenire da un romanzo di una marcata (pur aspra) connotazione letteraria e imperniato sui dialoghi, Scompartimento n. 6 ha una sceneggiatura un po’ fiacca, quasi rinunciataria negli scambi tra i due protagonisti. Tale introversione non aiuta a trovare del tutto convincenti le dinamiche relazionali e la loro personale psicologia. Ma va detto che la bravura dei due attori (Seedi Haarla e Juri Borisov) sopperisce quasi del tutto alla parziale lacuna.
Non è un film comune questo road-movie ferroviario: comincia con un’impronta godardiana per accomodarsi a un finale vagamente hollywoodiano. Gli strappi riff dei Roxy Music, l’indugiata lentezza dell’azione, la staticità nevosa, l’esotismo spazio-temporale, messi lì in cumulo e contrapposizione, introducono un piacevole senso di straniamento onirico.
Scompartimento n. 6
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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