“Di solito i capitoli si indicano con i numero cardinali 1, 2, 3, 4,5, 6 e così via. Io però ho deciso di usare per i miei capitoli i numeri primi 2, 3, 5, 7, 11, 13 e così via perché mi piacciono i numeri primi”. Cristopher è un ragazzino di quindici anni con la sindrome di Asperger, che ha trovato infilzato mortalmente da un forcone Wellington, il cane della vicina. Decide di scoprire chi è stato indagando come il suo beniamino Scherlock Holmes, e la sua insegnante Siobahn gli suggerisce di scrivere un libro, in progress con le sue indagini.
Prima di andare avanti con la storia, per la quale l’omicidio del cane risulterà essere un duplice pretesto introduttivo, vi domando: ricordate? Sono pagine tratte dal meraviglioso romanzo che nel 2003 pubblicò lo scrittore per ragazzi Mark Haddon (dato il successo planetario ha provato anche il salto stabile nella letteratura per adulti ma sin qui non gli è riuscito altrettanto bene). Perché il povero cane è soltanto un pretesto, che pure rappresenta a lungo agli occhi dei personaggi (più che del lettore) il filo della storia? Perchè dietro ci sono vicende umanamente un po’ torbide riguardanti alcuni adulti. Ma soprattutto perché il vero focus del romanzo sono la malattia di Cristopher e il disagio di cimentarcisi dei genitori. E la scelta notevole è di adottare un tono scanzonato e ottenere quel piccolo miracolo (che qualche volta in letteratura si ripete) di rendere tutta la drammaticità di uno stato patologico attraverso la leggerezza.
Signori: Cristopher! Le sue idiosincrasie non sono poche: non sopporta il giallo, il marrone (e vabbè, fin qua…), le metafore, gli estranei non si è mai spinto oltre la casa, la scuola e le immediate prossimità e soprattutto detesta essere toccato, e se qualcuno abbatte quella barriera di distanza- concessa nei termini limitati di un lento incontro tra le mani solo ai genitori- emette un urlo penetrante, si rotola per terra, diventa aggressivo. E’ un genio della matematica, però, e i suoi discorsi razionali possono sfiorire, qualche volta, per eccesso di razionalità. Un giorno il padre gli dice che la madre è in ospedale, poco dopo che è morta. Un giorno differente, quando sono passati due anni (e nel pieno delle sue indagini sulla morte del cane) trova nella scatola delle camicie del padre una lettera, e poi una pila di lettere simili. Della mamma, indirizzate a lui. La scoperta lo induce a una scelta che iscrive il libro nella categoria dei romanzi di formazione.
Non è assolutamente, di suo, un testo immaginato per essere trasposto in teatro. Ma Simon Stephens ne ha fatto una commedia premiatissima che, alla fine del 2017 in una co-produzione del Teatro dell’Elfo di Milano e del Teatro Stabile di Torino, è arrivata in Italia con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio de Capitani. Il testo è molto fedele al libro, tanto più che adotta l’espediente di farne leggere passi all’insegnante di Cristopher. Ma non basterebbe certo a riprodurre il mondo interiore di Cristopher, alternamente geniale e infantile. Nel libro Cristopher non è reso tanto da quello che fa ma da quello che pensa. La soluzione italiana, per le ragioni di economia che sempre incombono sulle produzioni nostrane, è diversa da quella inglese, che introduceva un turbinio di effetti digitali, ma è fantastica (proprio nel senso di appartenenza a un mondo fantastico). Il palcoscenico viene circondato da tre grossi pannelli sui quali le frasi del libro, quando vengono lette, appaiono a caratteri giganteschi, e il pensiero viene accompagnato da video con disegni stilizzati (ma molto eleganti, in stile Kentridge) che danno corpo alla mente analitica e involontariamente visionaria creando una fortissima empatia nello spettatore (alle spalle c’è un lavoro di studio sui disegni degli autistici). Questa forma di scenografia viene rinforzata dall’uso di cubi componibili che sostituiscono qualsiasi edificio o arredo, risonanti con il perpetuo costruzionismo e decostruzionismo cerebrale del ragazzo. Dal libro viene espunto poco, molte formule matematiche, anche se sarà una a chiudere lo spettacolo con un fuori scena (pure nel romanzo era in appendice). Il teatro realizza un plusvalore con una scena che nel libro manca, né era possibile tecnicamente. Mentre la voce narrante legge una lettera della mamma, che dichiara il suo sentimento di inadeguatezza genitoriale, Cristopher dispone per terra tutte le 43 lettere in un cerchio perfetto, con quella tenacia metodica che potrebbe appartenere solo al genio e al bambino. E’ un momento struggente, un nodo alla gola.
La musica è impiegata in modo didascalico e imitativo, la luce in modo narrativo. Il ventiquattrenne Daniele Fedeli, che interpreta Cristopher, offre una prova sublime, perfetta nei movimenti nervosi del corpo e virtuosa nel reggere vocalmente per oltre due ore il timbro di un quindicenne. Qualche riserva invece va sollevata sul resto della compagnia, o quanto meno sulla caratterizzazione che in particolare Davide Lorino e Alice Redini, nel ruolo dei genitori, sono stati chiamati a fornire ai personaggi: rimane un po’ a metà tra la caricatura e il realismo introducendo un alone di fastidiosa artificiosità che il romanzo era riuscito a evitare. Oltre al fatto che urlano tutti un filo troppo.
Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte
Alle Fonderie di Limone di Moncalieri fino al 27 gennaio
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
Scrivi un commento