Recensione del film
Una prima avvertenza: se avete la possibilità di vedere questo film in lingua originale (con relativi sottotitoli in italiano) non esitate un attimo. Si tratterebbe più precisamente di un film in lingue originali, e l’apprezzamento di questo dettaglio è il degno coronamento- ideologico,estetico, funzionale- di quanto Un re allo sbando vuole trasmettere. Vediamo perché.
Il re del Belgio, un immaginario Nicolas III, si appresta a partire per un viaggio di stato in Turchia:la sovrana ingaggia un ex reporter di guerra, Duncan Lloyd, per girare un documentario di questa trasferta, concentrato sul re al fine di migliorarne l’immagine pubblica, mettendone in luce la spontaneità e la semplicità.In effetti il buon Nicolas sembra più un gentile e dignitoso impiegato, oltre che un sincero amante del suo popolo. Il suo stesso staff è piuttosto dimesso, solo tre persone: uno che cura meticolosamente il protocollo, un valletto e la responsabile stampa. Questa corte spartana è lo specchio della scadente considerazione che il monarca sembra ricevere in Turchia: il presidente turco tarda all’incontro ufficiale e il responsabile della sicurezza gli si rivolge con spiccia rudezza. D’improvviso una notizia-bomba: la Vallonia ha dichiarato l’indipendenza. Il re vorrebbe rientrare immediatamente ma un evento climatico eccezionale, una tempesta solare, ha bloccato i voli e il ceffo della sicurezza, per evitare incidenti diplomatici che si ripercuotano in qualche modo sull’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, non ha nessuna intenzione di aiutarlo a rientrare. A questo punto sono passati quindici minuti del film, al quale si farebbe torto ricapitolando la girandola di eventi assurdi che vedono protagonista la comitiva. Basti dire che tra cantati bulgare, ex cecchini serbi, doganieri albanesi e scelte di itinerario che certo un navigatore satellitare non avrebbe consigliato, il rientro in patria si presenta arduo e avventuroso. Ma rigorosamente filmato, perché nonostante le preghiere dei suoi dignitari il re esige che la telecamera non faccia sconti. Quel documentarista non eccelso che abbonda in immagini mobili tremolanti e sfuocate e in desolanti sequenze fisse, avrà finalmente a portata il miraggio della gloria, data l’autorizzazione finale del re a riprodurle liberamente.
Sarebbe banale qualificare la pellicola come una parabola della dissoluzione del Belgio. La disgregazione riguarda l’Europa intera, e il regista mette in campo una potenza cinematografica originale per scandirla esteticamente: la babele degli idiomi sovrapposti (il francese del re, il fiammingo del valletto, l’inglese dei protocolli, tutte le lingue dell’est di personaggi e paesi coinvolti) e la perpetua instabilità dell’immagine, ora affidata ai dondolii delle scene sull’acqua, ora al piano inclinato (che nel linguaggio cinematografico si definisca “olandese” suona pure quello anti-Belgio!) delle sequenze fisse, ora all’animazione scomposta e scoordinata dei personaggi in quelle stesse sequenze, ora alle riprese a mano libera. Ovviamente è in primo luogo la trama a crogiolarsi nel disallineamento, virando da subito nello scapigliato anarchismo del road movie.
Nel raccontare dal suo punto di vista tutto il film la telecamera diventa co-protagonista, anche se proprio su questo punto i registi Peter Brosens e Jessica Woodworth (documentaristi di estrazione) frenano sul taglio sperimentale. Follemente dadaista, il film fa molto ridere, perlomeno chi ama quel genere di comicità. Ma pure intenerisce, come sempre capita quando il registro comico si sofferma sull’inadeguatezza interiore delle persone rispetto a un ruolo, anche meno impegnativo di quello di un re.
Più che a un altro piccolo gioiello belga, il recente Dio esiste e vive a Bruxelles, Un re allo sbando (in originale King of the Belgians: assai più fine nella sua asciuttezza) nello spirito surreale, fa risonare qualche affinità con L’aragosta, salvo che lì il primo quartetto di Beethoven la faceva da padrone e qui i registi quasi rinunciano alla musica salvo, noblesse oblige, una bella impennata del Bolero che si conclude isolando fiabescamente il re sopra lo sfondo di un paesaggio indefinito e crepuscolare.
Votazione finale
I giudizi
Perfetto
Alla grande
Merita
Niente male
Né infamia né lode
Anche no
Da dimenticare
Terrificante
Si salvi chi può
Scrivi un commento