Nel 1963 la Germania riuscì a imbastire a Francoforte un processo contro alcuni ufficiali nazisti: fino a poco prima non si sarebbe potuto perché il paese, ancora occupato dagli Alleati, non aveva le strutture autonome per una simile operazione; ma ancora in quel tempo non si sarebbe dovuto, secondo la popolazione, come dimostra il fatto che il 50% circa ne ignorò lo svolgimento e il 64% era contrario a celebrare processi contro i nazisti. E non furono pochi i giornali che screditarono i testimoni di Auschwitz e le ragioni degli ebrei con argomentazioni e toni non tanto discosti da quelli del Reich. A subire maggiormente lo shock delle rivelazioni che emergevano dai documenti fu la generazione che durante la guerra era appena nata, e alla quale i genitori avevano nascosto i fatti che avevano coinvolto molti di loro. Il bellissimo romanzo di Annette Hess (celebre sceneggiatrice alla sua prima prova letteraria) narra la drammatica presa di coscienza di una di queste giovani, Eva Bruhns, che viene casualmente coinvolta come interprete dal polacco nel processo e si scontra con il tentativo di dissuasione e l’ostruzionismo della famiglia e del fidanzato, e scoprirà che ciascuno ha qualcosa da nascondere. Quando si parla di lager, si adopera spesso il termine indicibile, per riferirsi alla difficoltà degli stessi superstiti nel raccontare gli orrori dei campi di concentramento: si sarebbero poi sbloccati per la responsabilità di cui erano investiti verso la memoria dei caduti e verso il mondo che da quelle macerie poteva ricostruirsi solo attraverso una piena consapevolezza della storia. In Germania l’indicibile prese una forma diversa: era l’indicibile della generazione colpevole, la cui omertà rendeva anche difficile scindere le responsabilità e capire quanti davvero dei tedeschi fossero a conoscenza degli aspetti più atroci. Anche se affronta con un certo rigore la parte processuale delle testimonianze e include un viaggio ad Auschwitz, “L’interprete” è essenzialmente un romanzo sul trauma di chi sbatte contro il muro dell’indicibile. Possiede la qualità straordinaria di raffigurare un fatto storico lavorando sul presente, che però posto sullo sfondo di un evento tanto sconvolgente perde ogni immanenza ed innocenza. Eva annega a lungo nell’inadeguatezza che tutti le rimproverano: i familiari che le imputano di voler sapere troppo e le figure processuali che la disprezzano perché non sa nulla. Ma la durezza della prova la renderà solida e capace di ricucire parzialmente le fratture del passato e la verità dei sentimenti. Tutti i personaggi femminili sono magnifici, mentre tra i maschili quelli più importanti vengono proposti con qualche forzatura caratteriale. Però è portentoso il padre di Jurgen (che è il fidanzato di Eva), un vecchio comunista sconquassato dalla demenza senile che alla fine di deliri allucinatori riesce a pronunciare frasi di saggezza apparentemente banale, che nel contesto suonano umanamente profonde e generose: forse quel che, insieme alla verità e alla giustizia, sarebbe servito al paese per fare i conti con il passato.
Annette Hess
L’interprete
Traduzione di Chiara Ujka
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