È l’opposto di un romanzo di formazione. Alla fine del libro il protagonista, che sembra incapace di interiorizzare le sue esperienze nonostante l’intensità emotiva con cui comincia a viverle (e che nel giro di poco si rovescia in un’apatica indifferenza o in una perdita di coordinate), non si sarà spostato di una virgola dal suo baricentro, senza veramente essersi applicato nemmeno in un attaccamento conservativo. Vero è che non sarebbero a rigore esperienza straordinarie: l’habitat di Joseph è una routinaria quotidianità nella quale svolge un ruolo parzialmente indefinito di assistente di un uomo d’affari non privo di estro ma, alla pari del suo assistente, sfornito di senso pratico e dunque votato al fallimento. A voler esser benevoli, un mutamento di stato nel romanzo ci sarebbe: il compimento del declino di questo padron Tobler. La finzione, tuttavia, predilige ruotare intorno alla stasi, oltre che alla debolezza e alla vanità degli slanci d’intenzione. Su questo teatro, però, Robert Walser allestisce una scena dall’atmosfera perpetuamente allucinata, che finisce per farci apparire normali le azioni irragionevoli e autolesioniste di tutti i protagonisti i quali, ogni volta che scivolano dall’autocontrollo repressivo, si trovano stretti tra l’esigenza di una malaccorta sincerità e la spinosa difficoltà di leggere dentro se stessi: un dualismo di impossibile risoluzione impresso dalle convenzioni borghesi. Il lettore non patisce la mancanza di sviluppo della trama, perché Joseph è capace di dotare di significato ogni fatto minuto, salvo perderlo di vista al primo scostamento laterale degli eventi; e l’autore è fantastico nel trarre linfa da quella circolarità. Robert Walser, del quale viene qui ripubblicato il primo romanzo edito in Italia, attingeva del resto dalla sua triste biografia (di questo libro scrisse “non ho inventato quasi nulla, la vita lo ha creato per me”) e Joseph come lui, vanamente, cerca di scuotersi dal senso di abbandono di sé con le passeggiate meditative. Lo stile straordinario, avvinghiato intorno a quella terza persona soggettiva che nella letteratura mitteleuropea trova il suo vertice sublime, contribuisce a fare de L’assistente un piccolo capolavoro, smentendo la fama negativa di Walser riguardo alla capacità di costruire solidamente i personaggi, che qui sono invece scolpiti e indimenticabili.
Robert Walser
L’assistente
Traduzione di Cesare De Marchi
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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