Il valore della memoria è fondamentale nell’identità israeliana e più in generale nell’identità ebraica. Può apparire quindi programmaticamente “anti” un romanzo che la mette in discussione sin dalle prime pagine, o meglio ne chiarisce la natura, negando che essa consista nella riproduzione fedele della verità della quale si è stati testimoni o si è venuti a conoscenza. Il protagonista, Chaim Birkner, che da bambino venne mandato clandestinamente dai genitori in un kibbutz per sfuggire alla persecuzione nazista, è in effetti arrivato all’età di 108 anni, e come uomo più vecchio di Israele ne ha di cose da raccontare: sottrae valore il fatto che non dica solo la verità ma menta anche con regolarità (come dimostrano le difformità tra le versioni degli stessi episodi), e che d’altronde riporti narrazioni altrui e interpretazioni, che a loro volta si discostano da una corretta ricostruzione? Chaim Birkner ci ricorda che la memoria è un processo continuo di adattamento e ricostruzione dell’identità, senza che un tale limite impedisca di arrivare al nucleo della persona e persino di riconoscerle un’intima onestà. La “Storia vera e non vera di Chaim Birkner” attraversa la storia ebraica, tra l’Olocausto e lo Stato d’Israele, soffermandosi però essenzialmente sulle ricadute private e sugli scompaginamenti familiari: la forma parallela di distanza e implicazione narrativa che mantiene rispetto ai grandi eventi è la sua grande originalità. Anche la forma non è convenzionale, perché il racconto mischia nella stessa pagina salti temporali e mette insieme dialoghi risalenti a epoche diverse, con interlocutori differenti, alcuni svoltisi, altri immaginati. Insomma, al lettore è richiesto un impegno di concentrazione, direi però del tutto sostenibile, e animato da alcuni passaggi comici. Piuttosto ci si chiede come sia possibile che Omer Meir Wellber, che di mestiere fa il direttore d’orchestra (attualmente è anche direttore musicale del teatro Massimo di Palermo) possieda una tale perizia anche nella composizione letteraria, e probabilmente la risposta è nel fatto che la complessità strutturale del romanzo non è tanto lontana dalla composizione musicale, specie tardo-novecentesca. Nonostante l’eccellenza di questa complessità, le pagine più belle riguardano due eventi abbastanza lineari, la sottrazione a fin di bene (o no?) di pagine dalla Torah dalla Sinagoga, da parte di Chaim e del padre, e la traduzione (ovviamente falsificata) che Chaim fa delle parole di una donna ex kapò ai funzionari che devono decidere se attribuirgli la rendita previste come risarcimento dai tedeschi agli israeliani che avevano subito la deportazione nei lager.
Omer Meir Wellber
Storia vera e non vera di Chaim Birkner
Traduzione di Margherita Carbonaro
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