Si tratta del terzo e ultimo volume della ventennale saga sul narcotraffico messicano scritta da Don Winslow. Qualsiasi presentazione e recensione informa che dopo la scomparsa di Adan Barrera, i problemi per Art Keller, ora capo della Dea, sono tutt’altro che finiti. Bene. Immaginiamo che a uno non gliene freghi niente, perché non sa chi siano Barrera e Keller. Per giunta, uno che si è snobisticamente tenuto lontano dal talento commerciale di Don Winslow, e alla fine cede prendendo il libro in mano dopo un anno dall’uscita. Certo, la quarta di copertina tira in ballo Wall Street, i campi di papavero, le spie, ma insomma è il mainstream delle serie televisive americane. E’ proprio a questo diffidente e tardivo lettore che(per chi non fa già parte del club) vale la pena di chiedere: senti, ma è il caso di imbarcarsi in queste novecento pagine, per giunta senza conoscere niente del pregresso? E’ la risposta è un sì a squarciagola, con tante scuse per il ritardo e lo snobismo. Winslow si situa, almeno in questo libro (ed evidentemente in questa saga) sulla linea precisa di confine (del resto il concetto non è solo nel titolo ma emerge sagacemente quale metafora di tutto il volume) tra la sceneggiatura d’azione e la limpidezza della scrittura, tra la narrativa di consumo e la letteratura colta e riesce a tenere il piede in tutti i territori. La maestria con cui fa viaggiare parallelamente almeno venti personaggi con le loro storie, dotandoli tutti di convincenti attributi psicologici, è impressionante, il ritmo è vorticoso, il passaggio tra parlato e pensato molto elegante e alcune sequenze risultano di grande intensità emotiva- i capitoli su un ragazzino che è scappato dal Guatemala per arrivare negli Stati Uniti sono esaltanti. Ed è un libro di impegno civile in cui Winslow tallona la cronaca- inventandosi persino un alter ego di Trump- e non rinuncia a far teorizzare i personaggi, senza che nulla suoni posticcio. Beh, qualche esagerazione c’è, come il sermone che ad Art Keller consentono di tenere davanti a una commissione del Senato americano, e che vuol fungere anche da riassunto delle puntate precedenti (anche se non è che ce ne fosse bisogno). Certo è che tiene incollati e ha tutte le ragioni Stephen King ad accreditargli le virtù del grande romanzo sociale.
Don Winslow
Il confine
Traduzione di Alfred Colitto
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