Le poesie di Eduardo non sono note quanto le commedie e la sua ineguagliabile arte scenica. Sono però conosciute dal suo pubblico, cui Eduardo ne donava vezzosamente la recitazione al termine dei suoi spettacoli. Sosteneva di comporle quando l’ispirazione creativa si trovava impantanata nella risoluzione di un nodo drammaturgico: allora, per distrarla senza perderla, la impegnava in qualche altra divagazione artistica, come i versi. Il corpus, che copre un arco di oltre cinquant’anni ed è ciclicamente riproposto da Einaudi, è ben altro che un esercizio di stile. Eduardo si inserisce con piena dignità nella grande tradizione dialettale della poesia italiana, con la particolarità che il napoletano piccolo-borghese è un quasi-dialetto, costituendo un idioma intermedio tra il linguaggio popolare e l’italiano. Alcuni testi portano dritti dentro il teatro eduardiano, monologhi di un suo personaggio o bozzetti preparatori. Altri manifestano un punto di contatto con la canzone napoletana. Ma sarebbe ingiusto fare di questi versi un’appendice dell’uno o dell’altra. La voce di Eduardo, incline all’endasillabo, è sempre meravigliosamente personale nel disinvolto passaggio dal disincanto al lirismo, nel disegno di percorsi mentali che dopo un vagare comico e strampalato approdano a una logica imprevista e un pudico lirismo. Così “chistu surz’ e vino/vence ‘a partita cu l’eternità”.
Eduardo De Filippo
Le poesie
2016
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