Incendiato dall’ambizione di realizzare qualcosa di ammirevole, segnato nell’infanzia dalla povertà fulminante del dissesto paterno e dai transiti di incredibili artisti circensi (e che gli vuoi dire all’uomo-cavallo-senza-milza?), rapito dai viaggi esotici e dalla fiamma del socialismo, il romagnolo Giovanni Succi nella seconda metà dell’Ottocento trova la sua strada nel digiuno. Grazie a questa forma di astinenza recuperato sulla soglia del trapasso da uno stregone, che insieme alla saggia nonna si installerà da quel momento nel suo cervello quale voce chiosante il mondo, diventa un uomo famoso, il più grande digiunatore di tutti i tempi. Lo spettacolo che si svolge nei ristoranti contempla il Succi ingabbiato che non fa assolutamente nulla, e specialmente non mangia (per ritualità il digiuno, che prosegue per settimane è preceduto da una pantagruelica abbuffata): a rendere irresistibile l’attrazione sono il dubbio che bari, che assuma sostanze nutritive in modo occulto o ingurgiti veleni come fossero gazzose, e le gazzarre e fazioni che il suo enigma scatena. Un mood che somiglia agli odierni social. Ma Succi è impregnato della sua epoca, ne attraversa le aspirazioni e i furori, ne incrocia grandi personaggi, come Freud, l’esploratore Stanley, Axel Munthe, Dino Campana, Giuseppe Verdi o Buffalo Bill (oltre a una serie di figure parzialmente dimenticate dalla storia che questo libro ci fa ritrovare o conoscere). Fa il via vai dal manicomio, nel quale pure coltiva la sua cerchia di amicizie e allena la sua abilità di influencer, e anche incontra fenomeni psicologici suoi pari, a un certo punto cerca di razionalizzare il suo business non proprio con il miglior manager, come insegnamento supremo lascia il culto del controllo di sé. Succi è esistito veramente, e Franz Kafka ne trasse il noto e omonimo racconto, ma Enzo Fileno Carabba procede con una sua originale alchimia (editorialmente rassicurante, per chi deplora che il pubblico d’oggi non ami il grottesco ma solo le storie vere), rispettando le basi della biografia ma alterandola, per mezzo di quel che nella postfazione ipotizza quale contatto telepatico con Succi, attraverso sviluppi assurdi, incantevoli e incantatori e spesso irresistibilmente comici, impregnati di realismo magico (quello pittorico del primo Novecento italiano, non quello letterario sudamericano), espressi nel miglior modo possibile da una prosa pulita, rispettosa, ironica ed elegantissima. L’autore accumula molto materiale ma senza che mai ci paia Oppa Oba (che sta per Troppa Roba, ed è il primo verbo pronunciato dal bimbetto Succi, per sottrarsi ai familiari e affettuosi tentativi di ingozzamento infantile).
Enzo Fileno Carabba
Il digiunatore
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