Ma sarà poi vero che Hanya Yanagihara, nonostante diriga il magazine culturale del New York Times, passa le serate a casa, detesta la città e vorrebbe vivere in un qualsiasi altro posto? E che, anche se il suo ultimo romanzo dà ampio spazio a una pandemia, è stato pensato e per lo più anche scritto prima del Paziente Zero? Scrittrice hawaiana di origini nippocoreane, propensa alla forma torrenziale e al marketing di supporto al libro, venerata per Una vita come tante (che narra la vita di uno dei personaggi più fisicamente abusati della letteratura) e con una predilezione per la narrazione di relazioni omosessuali, pur essendo lei eterosessuale, Yanagihara esce con la sua opera più ambiziosa, Verso il paradiso, una summa di tutte le angosce che gravano sull’umanità nel 2022. Il libro però è articolato lungo tre epoche, cadenzate a un secolo di distanza: il 1893, il 1993 e il 2093. A unirle sono soprattutto una sontuosa casa in Washington Square e l’importanza delle missive, oltre alla ricorsività dei nomi nei personaggi, che sommata al rovesciamento di ruoli e situazioni crea un certo straniamento. Trovare un altro, serio filo unificatore che non sia arbitrario e astratto è difficile (per favore, non tirate fuori l’ipocrisia del sogno americano): le tre storie (che poi sono quattro perché una a metà diventa la storia del padre di quello che era protagonista) non si amalgamano seriamente in unità. La prima, ucronica – è ambientata nella parte degli Stati Uniti che si chiama Stati Liberi, dove l’omosessualità è quasi la regola – ha un’intima delicatezza e un taglio anglo-ottocentesco. La seconda è fiacca, lenta e molto convenzionale narrativamente. La terza è una distopia formidabile, che moltiplica il suo effetto angosciante per il fatto di apparirci plausibile sotto diversi profili. Per quanto difetti e inclinazioni al melò non manchino, e l’istrionismo di Yanagihara sia palpabile, sono innegabili la grande capacità di maneggiare e mescolare con naturalezza temi sensibili (spiccano il colonialismo e i suoi lasciti, ma in modo per niente didascalico), l’equilibrio della scrittura, una vocazione alla grandiosità che regala momenti di alta letteratura e di commozione, e fa arrivare alla fine delle settecento e passa pagine relativamente freschi. Forse la migliore qualità è l’empatia con qualunque personaggio, e la peggior lacuna la discontinuità nella loro profondità psicologica.
Hanya Yanagihara
Verso il paradiso
Traduzione di Francesco Pacifico
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